Quando Fabrizio Angelini provò, e passò con successo, l’audizione per recitare in uno spettacolo di Gigi Proietti dovette rinunciare. Faceva il servizio militare e non si poteva mica interrompere perché lui, quando attraversava via Acaia gli veniva da calpestare la terra in punta di swing tipo Billy Elliot. E poi era sul filo del rasoio, come attore era già fuori tempo massimo. A quell’età è tardi per cominciare a fingere di professione.
Oggi a 63 anni Fabrizio, romano, è l’unico italiano invitato a New York per il cinquantennale di “A Chorus line”, il mitico musical che debuttò nel 1975 e rimase per 15 anni in programmazione a Broadway, ininterrottamente. Il compleanno del musical è andato in scena pochi giorni fa allo Shubert Theatre con il cast originario.
Da via Acaia a New York, la storia di Fabrizio Angelini
«Ci siamo ritrovati tra ballerini con età e taglie molto diverse», ride Angelini, protagonista prima di un flashmob al Lincoln Center dove ha ballato con altri 350 colleghi da tutto il mondo i refrain più noti dello spettacolo. Quello con il cilindro volteggiato con superbia, naturalmente. “One singular sensation”, ma anche la lacrimevole “What I did for love”. Cosa (non) si fa per amore. La danza, nel caso di Angelini. «Volevo fare l’attore e feci l’esame alla scuola di Proietti, lo passai ma facevo il militare e quel treno scappò via», racconta. Quando ha terminato la naja Angelini bussò di nuovo alle porte della scuola di Gigi Proietti ma lo staff gli rispose così: «Qui si fa l’ABC e Gigi non ti vuole perché tu sei già formato, puoi già lavorare, basta studiare». Sembra un giudizio lusinghiero ma di ingaggi zero. L’anno dopo però arriva l’occasione del primo palco: una sostituzione nel “Cyrano” di Proietti. Nel frattempo scoppia l’amore per la danza «per cui era stato sempre più facile sapere le audizioni». Nel 1985, a 23 anni vede in tv il film di “A Chorus Line”. «Ho pensato: io nella vita voglio fare questo». Rimane folgorato ed entra nel corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma e poi al San Carlo di Napoli.
Intanto A Chorus Line fa capolino in Italia. «Il 5 luglio di 35 anni fa, iniziavano le prove della prima versione italiana prodotta dalla allora semi sconosciuta Compagnia della Rancia». Angelini molla il posto (quasi) fisso del teatro e si unisce a quei pionieri nel 90. Sono i primi ad acquisire i diritti e portano a Tolentino, in provincia di Macerata, la mitica Baayork Lee che era assistente di Michael Bennet e interprete di Connie nello spettacolo originale (ruolo ispirato alla sua vera storia). Lee ora ha richiamato Fabrizio Angelini a New York.
«Fu un salto nel buio quella scelta». Anche se ora è attore (150 repliche con Gigi Proietti), regista residente al Brancaccio, performer, coreografo, produttore (della sua Compagnia dell’Alba in Abruzzo). «E quel musical è parte del mio DNA», dice. «La storia che racconta potrebbe succedere sempre e ancora a tutti. Tutti, come i ballerini, devono sempre fare audizioni. Io a 63 anni mi sono ritrovato a fare l’audizione per Cats con Piparo». E dopo sei ore di danza ha passato anche quella.
Registrò storie come questa nel 1975 Michael Bennett quando scrisse A Chorus Line che per la prima volta dava voce alle vite dei ballerini (ottennero persino una percentuale degli incassi come co-sceneggiatori della stesura). Nel gennaio del 1974, 15 dei 38 teatri di Broadway allora esistenti erano vuoti o in vendita. Erano in crisi. Angelini negli anni ha interpretato Paul, uno dei protagonisti che ha un monologo sul palco. «Poi ho fatto Larry. E poi ancora Paul, Greg, Mike e Al». A Chorus Line debuttò a Todi dopo due mesi di prove. Poi a Ravenna. E poi naturalmente a Roma al Teatro Nazionale di via Depretis, all’Olimpico e anche al Brancaccio. In tutto 502 repliche nel corso delle quali Angelini passa 18 lunghi anni nella Compagnia della Rancia che diventa un riferimento per i musical. L’ultima “Line”, nel 2019, a Milano prima che scoppiasse la pandemia Covid, con la regia di Chiara Noschese con Angelini che ha fatto da «garante della parte coreografica». Pochi giorni fa, da via Acaia a stella tra le stelle di Broadway. Mica male per un ballerino, uno che come racconta “A Chorus Line” fa una vitaccia, perché bisogna sempre poi tornare all'anonimato della fila (la line) .