Roma, ultrà fatto a pezzi, parla la moglie: «Chi ha ucciso Lele lo ha torturato»

Roma, ultrà fatto a pezzi, parla la moglie: «Chi ha ucciso Lele lo ha torturato»
di Lorenzo De Cicco
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Sabato 22 Agosto 2015, 06:13 - Ultimo aggiornamento: 23 Agosto, 19:04

«Quando mi hanno detto dei tatuaggi sul piede, ho capito: era lui». Ha la voce segnata da dieci giorni da incubo, Roberta (il nome è di fantasia), la moglie di Gabriele Di Ponto, l'ultrà laziale il cui piede è stato ritrovato sulle rive dell'Aniene l'11 agosto. Anche lei ha un tatuaggio, c'è scritto “Lele mio”, sul dito della fede. «L'ho fatto subito dopo il matrimonio». «Mi sembra di vivere un horror - dice - Lo hanno torturato. Lele non era un santo, ma non era cattivo. Non avrebbe mai ammazzato nessuno, magari poteva dargli due cazzotti se proprio subiva un torto grave».

I precedenti penali parlano di una vita nella criminalità.

La prima rapina a 18 anni...

«Ma l'ha fatta perché, mi ha raccontato, non aveva mai mangiato un pollo arrosto. E infatti subito dopo è andato in pizzeria a mangiarne uno. Ha avuto un'infanzia difficile. Ha perso i genitori quando aveva 5 anni, poi è passato dal collegio ad affidamenti complicati».

Suo padre ha detto che con lei era manesco, che la picchiava...

«Lele non mi ha mai messo una mano addosso.

Anzi, non mi faceva mancare nulla. L'ho conosciuto a una cena di amici, era uscito dal carcere da 3 mesi. Ci aveva passato 16 anni. Il classico colpo di fulmine: dopo 2 settimane sono andata a vivere da lui, a Tor Sapienza. Dopo tre mesi ci siamo sposati. Mi portava tutte le mattine la colazione con un mazzo di tulipani, perché sapeva che a me le rose non piacciono».

Perché allora vi siete separati dopo appena un mese e mezzo dalle nozze? Cosa ha rotto quello che lei racconta come un idillio?

«Ci eravamo sposati senza conoscerci e abbiamo subito iniziato ad avere discussioni quotidiane. La vita così era insopportabile. Più di una volta sono andata via di casa, dai miei, per non vederlo. Ma lui mi amava. E mi manteneva».

Non si è mai chiesta dove prendesse i soldi?

«Sapevo che frequentava un brutto giro. La vita gli aveva insegnato a sbrigarsela da solo. Stava spesso a San Basilio, la fama di questo quartiere la sanno tutti. Ma in casa non ho mai visto un grammo di coca».

Gli investigatori pensano che alla base del delitto possa esserci proprio una lite per la droga. Lei ha idea di chi possa essere stato?

«Me lo chiedo tutti i giorni. Per ammazzare una persona così, ci deve essere un motivo. E non so cosa possa avere fatto Gabriele per subire questa fine orrenda».

Forse uno sgarro alla malavita di San Basilio?

«Ma no, Lele non aveva nemici. Girava tranquillo per strada, non si guardava mai le spalle. Non pensava di essere in pericolo».

E invece...

«Da un giorno all'altro è sparito per finire morto ammazzato, il piede è stato ritrovato sulla sponda del fiume. Si sono comportati come animali, tagliare a pezzi una persona non è umano. E credo che prima lo abbiano anche torturato».

Perché ne é convinta?

«Il piede è stato ritrovato 20 giorni dopo la scomparsa e in buone condizioni. Significa che lui prima di morire è stato da qualche altra parte. Probabilmente sequestrato. E di una cosa sono sicura: lui era uno che lottava. Non si faceva mettere in un angolo. Sono certa che ha combattuto fino alla fine».