Roma, schizofrenico uccise il vicino di casa, nei guai i medici che dovevano curarlo

Roma, schizofrenico uccise il vicino di casa, nei guai i medici che dovevano curarlo
di Michela Allegri​
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Martedì 20 Novembre 2018, 09:54 - Ultimo aggiornamento: 10:19
Farmaci non somministrati e visite a domicilio non effettuate. E Marco De Silli, malato di schizofrenia, in cura presso il centro di igiene mentale di Serpentara che, in preda alla follia, uccide un vicino di casa con trenta coltellate. Ora, per questa vicenda, tre medici rischiano di finire sotto processo. Si tratta dello psichiatra che aveva in cura il paziente e di due medici di turno della Asl, i quali, il giorno dell’omicidio, avevano ricevuto le telefonate allarmate dei familiari di De Silli. Ma, nonostante le richieste, non sarebbero andati a visitarlo. La pm Elena Neri, che ha appena firmato un avviso di conclusione delle indagini, contesta al primo l’omicidio colposo e agli altri due l’omissione di atti d’ufficio. Il prossimo passo della Procura potrebbe essere una richiesta di rinvio a giudizio.

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I fatti risalgono al 20 ottobre dello scorso anno. Nel pomeriggio i familiari di De Silli chiamano il centro di igiene mentale di via Luigi Lablache nella periferia nord. Sono preoccupati: Marco è agitato, dice frasi sconnesse, sembra completamente fuori controllo. I dottori di guardia, però, non sarebbero intervenuti per tempo. E De Silli, uscendo sul pianerottolo di casa, incontra Massimo Monteri, il suo dirimpettaio. Lo aggredisce e lo uccide con trenta coltellate. Poco dopo viene arrestato per omicidio. Una perizia stabilirà poi la sua incapacità di intendere e di volere. La procura ha quindi iscritto sul registro degli indagati i dottori.

Per l’accusa, lo psichiatra che aveva in cura De Silli avrebbe omesso di verificare che al paziente fosse stata somministrata la medicina per controllare la patologia.
Da qui, la contestazione più grave: quella di omicidio colposo. Il difensore dell’indagato, l’avvocato Gianluca Luongo, conta però di ottenere l’archiviazione grazie a una nuova prova emersa qualche giorno fa: «Da una registrazione sulla piattaforma del centro di salute mentale dove il paziente era in cura emerge che la somministrazione sarebbe stata correttamente effettuata, contrariamente a quanto sostiene l’accusa. Abbiamo chiesto l’acquisizione di questo documento che scagiona il mio assistito».
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