Dopo barbari e vandali tutela ancora calpestata

di Claudio Strinati
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Martedì 15 Novembre 2016, 00:30
Poteva essere evitato l’ennesimo insulto alla nostra arte con il danneggiamento del “pulcino” della Minerva, come la tradizione popolare ha chiamato per secoli l’elefantino che Gian Lorenzo Bernini fece collocare davanti alla Chiesa di S. Maria sopra Minerva a due passi dal Pantheon? Poteva certamente ma è accaduto anche se non c’è dubbio che quel gran capolavoro sarà restaurato benissimo. Il dubbio, piuttosto, è sulla situazione generale che emerge dal brutto episodio: ma quanti sono, in definitiva, i monumenti all’aperto praticamente incustoditi, a rischio dunque, sparsi un po’ ovunque per Roma e in infinite terre d’Italia? In ogni caso troppi per poterli controllare tutti adeguatamente. Ma poi c’è caso e caso, come fu per la Fontana della Barcaccia a Piazza di Spagna presa di mira da tifosi scalmanati stranieri. Barbari, si disse, che avevano potuto farla franca anche per la notoria, scarsa protezione dei monumenti. E siamo sicuri che i “barbari” siano soltanto coloro, stranieri o cittadini italiani, che non hanno maturato alcuna coscienza civica?
Del resto, malgrado i generosi e onesti sforzi compiuti dal Ministro Franceschini in tal senso, le sanzioni comminate per fatti del genere sono blande, mentre l’origine di questo male si annida sovente in una sostanziale mancanza di cultura che inibisce qualunque sentimento di rispetto e di desiderio di tutela. Ecco la parola magica! La “tutela”, ma proprio su questo punto sta emergendo sempre più una carenza che tutti, chi più chi meno, ci portiamo dietro.
Possiamo considerarci figure civilizzate che pongono il rispetto e la tutela dell’arte quali funzioni fondamentali attinenti al bene pubblico. Ma sappiamo sul serio che valore effettivamente abbia tutto ciò? E, ancora, quanti condividono un tale pensiero? Un danno come quello dell’elefantino può essere la conseguenza di una bravata, di un piano predeterminato, addirittura può diventare un’arma di ricatto e prevaricazione. E qui risiede uno dei punti ancora un po’ problematici della pur importante riforma dei beni culturali avviata da Franceschini.
Negli ultimi anni il Ministero e gli Assessorati degli Enti locali hanno battuto e battono molto sulla “valorizzazione” che consiste in sostanza nell’incrementare e sviluppare i grandi Musei italiani. E valorizzare vuol dire aumentare le attività e i visitatori, le pubblicazioni e le mostre magari anche di una sola opera ma eccelsa.
Però la logica dei numeri non è l’unica possibile mentre nel frattempo la tutela si è ridotta. Le Soprintendenze che lavoravano capillarmente sul territorio sono state profondamente ripensate proprio nell’ambito della salvaguardia. I funzionari storici dell’arte, architetti, archeologi che in concreto fanno la tutela sono sempre meno su tutto il territorio nazionale e questo è il vero guaio per un Paese come l’Italia la cui storia è un singolare misto di amore e indifferenza da parte della popolazione tutta verso ciò che ora si chiama, un po’ ampollosamente, patrimonio culturale della Nazione. Sembra spesso che, per una strana quasi soprannaturale decisione, il patrimonio si mantenga bene da solo, senza bisogno di particolari interventi proprio perché organico alla gente e ai suoi comportamenti. Quando però succedono colossali catastrofi come negli ultimi giorni, ci si rende meglio conto di come la tutela abbia assoluto bisogno di competenze, di addetti e di risorse. È chiaro, allora, che un episodio come quello della Minerva debba essere giudicato un campanello d’allarme.
 
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