Roma, minimarket: nuove regole ma in ritardo. Più 13% nel 2017

Roma, minimarket: nuove regole ma in ritardo. Più 13% nel 2017
di Fabio Rossi
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Venerdì 20 Aprile 2018, 07:56 - Ultimo aggiornamento: 21 Aprile, 17:11

Più tredici per cento nel 2017, con un incremento percentuale a due cifre che va avanti da diversi anni. Il boom dei minimarket per le strade di Roma è sotto gli occhi di tutti, e le cifre lo dimostrano. All'indomani dell'approvazione in assemblea capitolina del Regolamento per l'esercizio delle attività commerciali e artigianali nel territorio della Città storica, che dovrebbe porre un freno a questa crescita indiscriminata, l'associazione Terra! lancia un'inchiesta sul boom dei minimarket bengalesi e le frutterie egiziane a Roma, realizzata da Maria Panariello e Maurizio Franco. Le nuove norme, insomma, sono probabilmente arrivate troppo tardi.

LE CIFRE
L'indagine parte dalle cifre ufficiali, a cura della Camera di commercio: i minimarket sono passati dai 1.432 del 2016 ai 1.622 del 2017; le frutterie, nello stesso periodo, da 874 a 918. «Se i negozi di ortofrutta gestiti da personale italiano sono ancora la maggioranza, il trend è chiaro - si legge nel testo realizzato dall'associazione - Nel 2017, sul territorio romano, hanno chiuso i battenti 33 frutterie autoctone e quasi altrettante hanno avuto lo stesso destino in provincia. Al contrario, i piccoli esercizi a conduzione egiziana o bengalese crescono quasi cinque volte in più rispetto alla media del settore, e da sole rappresentano il 42 per cento di tutto l'aumento delle imprese registrato nel 2017. Complessivamente, i minimarket attualmente attivi nella Capitale sono in maggioranza gestiti da italiani (1.473), seguiti da bengalesi (664), egiziani (48) e romeni (40)

Tra le frutterie, invece, dietro agli italiani, che ne gestiscono 624, ci sono gli egiziani (257), i bengalesi (211) e i romeni (19). Tuttavia, secondo l'inchiesta, se si sommano gli esercizi commerciali tenuti da stranieri, questi raggiungono la maggioranza assoluta. I piccoli esercizi a conduzione egiziana o bengalese, inoltre, crescono quasi cinque volte in più rispetto alla media del settore, e da soli rappresentano il 42 per cento di tutto l'aumento delle imprese registrato nel 2017.

I MOTIVI
Le cause di questo fenomeno, secondo i due ricercatori, sono molteplici: in primis «la crisi economica, in parte ancora in atto, ha ridotto i margini di guadagno di molti esercizi gestiti da commercianti italiani». A questo si sono aggiunte «le liberalizzazioni del settore, che da un lato hanno favorito l'ingresso di persone altrimenti escluse, dall'altro hanno dilatato la giornata lavorativa». Roma, inoltre, è la prima provincia in Italia per numero di imprese di cittadini nati in Bangladesh, con 13 mila società registrate, ed è anche la prima città per importo delle rimesse inviate verso il Bangladesh: 126 milioni di euro, il 26 per cento circa del totale. Anche le frutterie egiziane rappresentano la principale forma di guadagno per quella comunità: dal 2012 al 2016 si è assistito ad un incremento delle rimesse dirette all'Egitto e, nel 2016, da Roma è stato inviato il 20,1 per cento delle rimesse italiane complessive. Ma se la qualità della merce venduta «sta migliorando, specialmente nei quartieri più benestanti - sostiene l'associazione Terra! - Quel che ancora manca praticamente ovunque è però la trasparenza: in quasi tutti i negozi non si ritrovano le etichette che certificano la provenienza dei prodotti».

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