Roma, usura, spaccio, estorsione: trecento anni di carcere alla camorra del Tuscolano

Roma, usura, spaccio, estorsione: trecento anni di carcere alla camorra del Tuscolano
di Sara Menafra
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Giovedì 22 Dicembre 2016, 08:11 - Ultimo aggiornamento: 23 Dicembre, 17:20
Erano noti negli ambienti criminali come i Napoletani della Tuscolana. Ieri, la quinta sezione del Tribunale penale di Roma, presieduta da Maria Bonaventura, ha emesso 24 condanne per più di 300 anni di reclusione, disponendo anche 8 assoluzioni totali. Le condanne più alte sono state inflitte a Domenico Pagnozzi, Massimiliano Colagrande e Antonino Calì (30 anni ciascuno), nonché a Marco Pittaccio (21 anni e mezzo), Claudio Celano (20 anni), Marco De Rosa e Stefano Fedeli (20 anni e 4 mesi ciascuno). Le accuse, a vario titolo e secondo le posizioni, andavano dall'associazione mafiosa, all'associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, estorsioni, usura, reati contro la persona, riciclaggio, reimpiego di denaro di provenienza illecita, fittizia intestazione di beni, illecita detenzione di armi, illecita concorrenza con violenza e minacce.
Il processo nasceva dagli esiti di una maxi inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Michele Prestipino che nel febbraio dello scorso anno portò gli inquirenti a ritenere di avere smantellato un'organizzazione per delinquere di matrice camorristica operante nella zona sud-est di Roma, impegnata in varie attività illecite e capeggiata, secondo l'accusa, da Pagnozzi.

LEGAMI CON ALTRI CLAN
Il boss della Valle Caudina aveva costituito un vero e proprio impero che continuava a controllare anche dal carcere dove è detenuto da due anni in regime di 41 bis per associazione mafiosa e per l'omicidio del boss romano Giuseppe Carlino, ucciso sul litorale di Torvaianica nel 2001. Pagnozzi, detto Mimmo, O Professore, ice-occhi di ghiaccio, l'avvocato, o parente (il suo nome per esteso non viene mai pronunciato dai suoi gregari ndr) era riuscito a mettere in piedi una rete criminale che collaborava con diversi clan campani e non solo. Secondo quanto riferito da un collaboratore, citato nell'ordinanza di arresto di più di 1000 pagine di quella che era stata definita l'inchiesta Camorra Capitale l'associazione mafiosa di cui Pagnozzi era capo indiscusso, era rispettata da lontano anche dai Casalesi, e il traffico di sostanze stupefacenti avveniva in concorso anche con la sanguinaria famiglia ndranghetista dei Pelle di San Luca, con la quale il boss irpino aveva un legame strettissimo tanto da aver battezzato un figlio del boss Antonio Pelle.

IL BUSINESS SLOT MACHINE
Il gruppo, caratterizzato dall'integrazione tra persone di origini campane e romane, secondo l'accusa avrebbe gestito lo spaccio in alcune piazze della periferia della Capitale; durante le indagini, però, sarebbero emersi anche episodi di estorsioni e gravi intimidazioni per imporre il volere del clan e per recuperare crediti usurai anche per conto di terze persone. Per la procura, inoltre, l'organizzazione avrebbe voluto monopolizzare anche il controllo della distribuzione delle slot machine in molti esercizi commerciali della zona Tuscolana-Cinecittà. Nell'ambito della stessa inchiesta, altre sei persone sono state già giudicate col rito abbreviato nel luglio scorso; furono condannate a complessivi 66 anni di reclusione.