Il passato dovrebbe insegnare. Per esempio, sul fronte dell’integrazione. «L’Europa ha sempre reagito con espulsioni o con ghetti. Le minoranze o i diversi venivano cacciati o massacrati. Oggi ci troviamo davanti ad un fenomeno epocale, le migrazioni, che vanno gestite mediante un vero processo di integrazione, (cosa che finora non mi pare si sia fatta), altrimenti lo scenario si farà allarmante”. In pratica se l’Europa, o l’Italia non saprà gestire le paure dei propri cittadini, diverrà terreno fertile per le radici dell’odio e della xenofobia. La conclusione alla quale arriva Di Segni trova sostanzialmente d’accordo Abdellah Reduane, direttore della grande moschea di Roma. «La strada è quella del dialogo, ma il problema è come isolare chi prende la religione come pretesto?» La sfida non è tanto dentro al mondo sciita o sunnita, o l’Islam nel suo insieme davanti alla modernità, piuttosto varca il terreno proprio per incontrare valori condivisi. L’incontro introdotto da Massimo Bray con la partecipazione di Gianmaria Vian e Lucetta Scaraffia si è aperto con una testimonianza di Giorgio Pressburger, scampato alla Shoah da bambino e da ragazzo fuggito nel 1956 dall’Ungheria dopo l’invasione dei carri armati russi a Budapest. «Ho rischiato di essere arrestato al confine, ma siccome sapevo l’italiano imparato a scuola, sono riuscito a fuggire. Dieci anni prima ero stato perseguitato a motivi religiosi sotto il nazismo. La storia dell’Europa è un crocevia di contraddizioni. Gli italiani non sono razzisti però ho l’impressione che qualcuno voglia insegnare a odiare».
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