Vizi italici/ L’interventismo fuori stagione del monsignore

di Mario Ajello
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Venerdì 27 Gennaio 2017, 00:12
«La magistratura interviene perché la politica non fa il suo mestiere». «Non è normale che le leggi elettorali le facciano i giudici». «La politica deve interrogarsi e riflettere». Queste le frasi. Chi le ha pronunciate? Un leader di sinistra? Anzi, no: uno di destra? Macché: sono il nuovo frutto dell’eloquenza di Galantino Parlantino. Ossia di don Nunzio, il segretario generale della Cei. Nulla sfugge alla sua bulimia sacerdotale della parola e così Galantino nella veste di tribuno ora è partito all’attacco della politica, succube della magistratura e incapace di prendere decisioni, in questo caso elettorali, senza delegarle alle toghe. Ragionamento in parte anche condivisibile, e certamente pop, ma è improprio il pulpito da cui proviene. Perché riporta la Chiesa in una stagione di interventismo politico a cui le gerarchie - con qualche eccezione - avevano finalmente rinunciato, da quando Bergoglio ha depotenziato il ruolo politico della Cei.

Galantino Parlantino, nel suo nuovo intervento, oltretutto sembra paradossalmente poco rispettoso della Consulta. Che è un organo che fa il suo compito previsto dalla Costituzione, nel valutare le leggi del Parlamento. E non c’è nessuna invasione della Corte in questo caso, visto che è la politica - la stessa a suo tempo definita da Galantino come «piccolo harem di furbi e di cooptati» - che ha invocato l’esame dell’Italicum.

Se «non è normale che le leggi le facciano i giudici», è normale che un alto esponente della Chiesa si occupi di Italicum e dintorni e non si preoccupi di ridare una bussola dottrinale alla Cei che non sia unicamente quella, sia pure importante, della cultura della solidarietà ai migranti? Scendere nel campo politico dei premi di maggioranza, dei ballottaggi e dei capilista bloccati o meno appare una riduzione del ruolo dell’istituzione che don Nunzio rappresenta. Se la politica «deve interrogarsi e riflettere» sulla propria incapacità, come dice Galantino cercando l’applauso, uno sforzo simile dovrebbe fare la Cei interrogandosi sul perché sembra un po’ smarrita sulle questioni che le competerebbero e non sono quelle politologiche.

Quando si vota e quando non si vota? Ecco il dilemma dottrinale che sembra appassionare il tribuno con la tonaca. Il quale fornisce una risposta che pare presa in prestito da un nemico di Renzi o magari di Grillo: «A noi, sta bene qualunque data per il voto, purché le elezioni non siano un diversivo perché tizio prenda la rivincita su caio». Galantino Parlantino ha comunque idee molto chiare anche sulla missione ecumenica dei credenti: «Noi cristiani e sacerdoti dobbiamo dare un forte contributo, per evitare gli eccessi e le divisioni nelle nostre comunità». Giusto. Ma che cosa c’è di più divisivo - traumatico, caotico e capace di accendere gli animi in un Paese già eccitato - che allargare a macchia d’olio santo la polemica populista contro la politica, senza fare distinzioni né discorsi profondi?

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