È però anche vero che il Pd guida il governo, come ricorda Bersani, ma non ha da solo la maggioranza in Parlamento per cambiare la legge elettorale e l'ex segretario dovrebbe saperlo altrimenti a palazzo Chigi nel 2013 sarebbe salito lui e non prima Letta e poi Renzi.
I due partiti di centro che sostengono il governo, guidati da Alfano e Verdini, vogliono anche loro cambiare l'Italicum ma dopo il referendum. Stesso discorso per le forze di opposizione, Forza Italia in testa, che non intendono affrontare l'argomento prima del 4 dicembre.
Continuare a ripetere che Renzi deve rimanere palazzo Chigi anche in caso di sconfitta, come sostiene la minoranza del Pd, rischia di essere strumentale e dà motivi al premier per tornare a personalizzare la campagna elettorale. Un "dopo di me il caos" poco gradito anche da parte di molti autorevoli esponenti del Sì, ma che rappresenta per Renzi l'unico modo per parlare chiaro e consegnare al fronte del No il compito di immaginare quale governo ci sarà e con chi dopo le dimissioni di Renzi.
A Bersani e Speranza, come a Berlusconi, il compito di spiegare ai propri elettori i motivi di una alleanza tra centrosinistra e centrodestra inevitabile vista anche la perdurante indisponibilità del M5S a qualunque alleanza di governo. Forse non un "governicchio tecnicchicchio" , ma larghe intese subito dopo il referendum e probabilmente anche per la prossima legislatura. A camere invariate, ovviamente, ma "l'onda che noi abbiamo solo cavalcato", come ha ricordato ieri l'altro il premier a conclusione della Leopolda, potrebbe farsi ancora più alta e trovare ben altri fantini. Magari a cinque stelle.
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