Emergenza migranti, il Viminale blinda i Centri per i rimpatri

Emergenza migranti, il Viminale blinda i Centri per i rimpatri
di Cristiana Mangani
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Giovedì 7 Giugno 2018, 07:50 - Ultimo aggiornamento: 08:03
Il business dell'accoglienza, i tempi rapidi per il rimpatrio e i migranti irregolari chiusi nei centri: il piano del Viminale targato Salvini sembra voler seguire queste direttive. Linee che si muovono nel solco di quanto già varato dal predecessore, ma che prevedono delle restrizioni della libertà personale. Del resto, il neo ministro lo ha detto chiaro anche ieri: «Basta gente a spasso, basta migranti in giro per le strade che non si sa cosa fanno o fanno casino: i Centri per i rimpatri saranno chiusi e verranno allungati i tempi di permanenza, perché tre mesi non sono sufficienti ad identificare i soggetti che vanno espulsi».

LE RESTRIZIONI
Tolleranza zero, dunque. Perché «la gente - aggiunge il responsabile del Viminale - non vuole avere posti dove uno esce alle 8 di mattina, rientra alle 10 di sera e di giorno non si sa cosa fa. Bisogna evitare che vada a spasso per le città chi è in attesa di essere espulsoo». Mano tesa, invece, agli immigrati «regolari e per bene», che sono «i benvenuti e non hanno niente da temere: chi scappa dalla guerra ha in casa mia, casa sua». Altro punto cruciale è quello di allungare i tempi di trattenimento dei migranti nei Centri. «È evidente che ci sono dei paesi africani con grossi problemi anagrafici - spiega ancora Salvini - e quindi 2 o 3 mesi non sono sufficienti per l'identificazione». L'idea è quella portare da 90 giorni a 18 mesi il periodo per poter ricostruire con più tempo a disposizione la reale identità e la provenienza dell'immigrato irregolare.

C'è però un aspetto che il ministro non sembra aver considerato, ed è l'opposizione di alcuni sindaci all'apertura dei Cpr, i centri per i rimpatri. Il Viminale ne vorrebbe uno per Regione, per un totale di 1600 posti. Ma, finora, gli amministratori leghisti si sono opposti all'apertura. Il ministro sostiene che ora questo problema non esiste più. «Un conto sono dei Centri aperti e un conto sono quelli chiusi. Ho parlato con tutti i governatori leghisti e non vedono l'ora di avere dei Centri chiusi». Nelle prossime settimane si capirà se i governatori hanno cambiato davvero idea, perché anche i Cpr ipotizzati dal governo precedente erano strutture dalle quali non era possibile uscire. Al momento sono 5 i Centri a Torino, Roma, Bari, Brindisi e Caltanissetta, mentre altri erano già stati individuati ma non ancora allestiti: da Iglesias e Bologna, da Potenza a Santa Maria Capua Vetere.

I CENTRI IN AFRICA
E c'è di più, perché una delle soluzioni in cantiere è creare degli hotspot dove si generano i flussi. Che vuol dire chiedere ai paesi di partenza e transito, in cambio di denaro, di sorvegliare in maniera più efficace i loro confini. I finanziamenti dovrebbero arrivare da Bruxelles. E questi hotspot per l'identificazione e la domanda di asilo potrebbero essere creati sotto l'egida dell'Unhcr. Quello che è certo, comunque, è che, a prescindere dalle scelte nazionali, è sui tavoli internazionali che si gioca la partita migratoria. Per questo il leader leghista ha ribadito la volontà di incontrare al più presto il suo omologo tunisino, che però ieri è stato silurato e sostituito con il ministro della Giustizia. Un particolare che potrebbe allontanare di parecchio la data della visita.

Oggi, Salvini si vedrà con il capo della polizia Franco Gabrielli, al quale ha chiesto un dossier sulle coop e sul sistema dell'accoglienza, con particolare attenzione a Ventimiglia. Mentre il no alla riforma di Dublino «ha aperto un dibattito che fino alla settimana scorsa era sotterraneo» e che ora potrebbe avere un ulteriore stop dall'iniziativa di Austria e altri paesi europei: dare protezione ai migranti fuori dall'Europa, ha spiegato il premier Sebastian Kurz, senza però che abbiano «la possibilità di scegliere il Paese a loro più congeniale per presentare la loro richiesta d'asilo». Regole severe, alcune già disposte da Vienna: cellulari e smartphone consegnati dai richiedenti asilo all'arrivo in Europa. Un contributo di 840 euro pagato per i costi della procedura della domanda di asilo. E la possibilità di tracciare, attraverso il gps del telefonino, il percorso seguito, ed eventualmente rimandare l'immigrato nel luogo di provenienza.
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