Letta: «Dico no alla staffetta». Ma la maggioranza si sfalda

Enrico Letta
di Alberto Gentili
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Lunedì 10 Febbraio 2014, 07:28
Fosse per Enrico Letta, quella che si apre oggi dovrebbe essere la settimana del nuovo inizio, del rilancio del governo. Il problema che la nuova offerta politica gettata sul tavolo da Matteo Renzi, vale a dire la possibilit di arrivare al 2018 con un esecutivo guidato dal segretario del Pd, fa venire l’acquolina in bocca a molti. Piace a Mario Monti e a Pier Ferdinando Casini. Tenta Angelino Alfano, che avrebbe il tempo per organizzare il partito. E’ gradita perfino a Silvio Berlusconi, che tra quattro anni potrebbe aver messo alle spalle le grane giudiziarie. Incandidabilità inclusa.



LA STRATEGIA DEL PREMIER

Eppure, Letta non si scompone. Non maledice la concorrenza sleale di Renzi, anche se viene descritto determinato ad opporsi alla ”staffetta” e a farsi sfiduciare, piuttosto che lasciare il campo al segretario. Così la linea di palazzo Chigi è improntata al fair-play. Lo staff del premier fa sapere che «Enrico mantiene piena fiducia nei vertici del Pd». E che, esattamente come Renzi, lega la sorte dell’esecutivo al procedere della riforma elettorale che domani approderà nell’aula della Camera. Evitare di andare allo scontro aperto, per Letta è soprattutto una mossa tattica: non offrire pretesti al segretario.



Il passaggio decisivo è l’incontro con Giorgio Napolitano. Potrebbe essere domani mattina, oppure giovedì quando il capo dello Stato sarà rientrato dalla trasferta di Lisbona. Letta con Napolitano dovrà decidere se rilanciare il governo con un nuovo patto programmatico e un piccolo rimpasto. Oppure, se tentare la strada di un governo tutto nuovo con dentro esponenti renziani, il famoso Letta-bis. L’opzione migliore ma anche la più rischiosa e quella contro cui, sotto traccia, lavora Renzi.



PIÙ RIMPASTO CHE BIS

Così al momento l’ipotesi più probabile è quella del piccolo rimpasto, con la nomina di nuovi ministri nei posti rimasti vacanti: l’Agricoltura, il viceministero all’Economia, più qualche sottosegretario. «Se ci limitiamo a coprire gli incarichi liberi», ragionano a palazzo Chigi, «non ci sarà bisogno di passaggi rischiosi». Non sarebbero necessarie le dimissioni e il reincarico: «In questi casi sai come entri, non sai come esci...». E c’è da dire che anche il Quirinale preferisce, al momento, una linea improntata alla prudenza.



Nell’attesa di capire cosa fare, Letta sta mettendo a punto “Impegno 2014”, la nuova agenda programmatica. «Senza aspettare le proposte del Pd» che tardano ad arrivare. «Finora abbiamo atteso», dice un collaboratore del premier, «ma da oltre un mese assistiamo alla melina di Renzi che sta bloccando il rilancio del governo. Dunque Enrico presenterà il programma e deciderà con Napolitano con quale formula rilanciare l’esecutivo».



IL PUNTO DI SVOLTA

Il problema è che il lavoro di Letta rischia di risultare inutile. Renzi, con maestria da guastatore, gli sta letteralmente togliendo la terra sotto i piedi. Facendo balenare la possibilità di mettere su un governo che duri fino al 2018, il segretario di fatto sta sfaldando la maggioranza che sostiene Letta. E poco importa se, ricorrendo all’antica arte democristiana, Renzi faccia sapere di essere contrario ad andare a palazzo Chigi senza passare per le elezioni. Tutti hanno capito che il segretario democratico aspetta solo l’invito a varcare il portone del governo. Per acclamazione.

Ebbene, se la standing ovation dei centristi e di Alfano non è ancora scattata, è solo perché temono che Renzi trascini tutti alle elezioni una volta che avrà in pugno il bastone del comando.

Ma la svolta potrebbe avvenire tra domani e mercoledì. Se dovesse passare l’emendamento che lega l’entrata in vigore della nuova legge elettorale al completamento della riforma costituzionale del Senato, il rischio-elezioni sarebbe sventato. O quasi. «E tutti i centristi passerebbero armi e bagagli con Renzi, l’unico a garantire la legislatura fino al 2018», dice un esponente di alto rango di Scelta civica, «del resto tra il vaso di coccio-Letta e vaso di ferro-Renzi, è inevitabile preferire il secondo. Anche perché il dualismo tra Enrico e Matteo non è sostenibile: bene che vada, Letta potrebbe soltanto vivacchiare sotto le continue bordate del Pd». Segue postilla pro-Renzi: «Per favore non si faccia il paragone con Prodi e D’Alema. Prodi era stato eletto premier, Letta no». Amen.
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