L’accusa dei sindaci contro i pm: basta con il fango, così è la paralisi

L’accusa dei sindaci contro i pm: basta con il fango, così è la paralisi
di Marco Ventura
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Venerdì 13 Ottobre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 14 Ottobre, 07:46
Uno sfogo tra gli applausi e un appello al capo dello Stato, Sergio Mattarella, ma anche al Parlamento e, soprattutto, alla magistratura e ai media. «Non infangateci!». Enzo Bianco, presidente dell’Associazione nazionale dei Comuni italiani e Sindaco di Catania, si è lanciato ne suo discorso inaugurale all’assemblea degli 8mila primi cittadini (1200 erano presenti a Vicenza negli ultimi due giorni) in un accorato, «dal cuore», richiamo alle istituzioni, in particolare ai pm, perché controllino l’azione dei sindaci ma «ci aiutino a svolgere al meglio la nostra funzione». 
Eccessivo, infatti, il ricorso all’ipotesi di abuso di ufficio.

Abusato, tanto che lo stesso Raffaele Cantone parla della necessità di rivederlo. E precisando il senso dell’intervento, Bianco spiega che una cosa è «la censura politica sempre legittima, altra la censura giudiziaria, l’avviso di garanzia che diventa già una pena, senza processo». Oggi, spiega il presidente dell’Anci ai suoi associati davanti a Mattarella che fra l’altro presiede il Consiglio superiore della magistratura, «assolvere il mandato affidatoci con l’elezione diretta dai cittadini non è facile né agevole». Non per i tagli finanziari subìti «più di altre componenti della Repubblica, né per le pastoie burocratiche, le lungaggini, le lentezze, i divieti incomprensibili che come sassi sul cammino rallentano la nostra azione». 

LE MANI AVANTI
Il vero problema è l’attacco alla «reputazione dei sindaci, un bene prezioso per la Repubblica, avamposto della democrazia. Non c’è giorno in cui, per un’avversità atmosferica, per un crollo, un incendio, un ritardo, un titolo di giornale, una notizia alla tv, un flash sui social media, non ci si chiede chi sarà iscritto nel registro degli indagati, e poi quando arriverà la richiesta di rinvio a giudizio». Un esempio? «Il comico proliferare di messaggi della Protezione civile nei nostri telefonini, quest’estate sul mio almeno cento, più di uno al giorno. A volte nello stesso giorno ci veniva segnalato l’allarme pioggia insieme a quello incendi!». Solo per mettere le mani avanti rispetto a una possibile inchiesta: «Noi ve l’avevamo detto». E poi, alla magistratura e ai media Bianco ricorda che «è facile sparare un titolo in prima pagina quando ancora non c’è un iscritto nel registro degli indagati, solo un sospetto, ma se poi c’è il proscioglimento o l’assoluzione, la notizia finisce a una colonna, cinque righe, in quindicesima pagina».
 
L’APPELLO
A braccio Bianco cita il caso di Maurizio Mangialardi, sindaco di Senigallia, indagato per la rottura di un argine «che però era della Regione e la cui manutenzione spettava alla Provincia». Fatti i conti, «se tutte le accuse si trasformassero in condanna rischierebbe da 22 a 35 anni di carcere». Nel maggio dello scorso anno Bianco e altri, compreso Piero Fassino allora sindaco di Torino, s’erano appellati alle istituzioni dopo una serie di guai giudiziari dei sindaci. «Al sindaco di Lodi che aveva risolto un problema relativo a un Palazzo dello Sport fu contestato l’interesse privato solo perché creava consenso elettorale. Ma per quale diamine di ragione un sindaco dovrebbe operare non per avere il consenso dei concittadini? Cos’è, uno scherzo?». Vicende che alla fine si risolvono, «ma intanto la serenità è persa e sulle decisioni pesa una censura preventiva giudiziaria». L’avviso di garanzia regolato dall’articolo 323 del Codice penale «meglio non riceverlo proprio – dice Bianco - perché invece di una garanzia diventa una pena preventiva. Ed è assurdo che addirittura alcuni sostituti procuratore abbiano ipotizzato la violazione dell’art. 97 della Costituzione». Quello che fissa il principio del buon andamento della amministrazione. Insomma, «adesso basta». 
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