Nuovo Medio Oriente/La tela di Putin ora coincide con gli interessi degli ayatollah

di Alessandro Orsini
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Mercoledì 17 Agosto 2016, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:10
I caccia russi stanno decollando dalle basi dell’Iran per bombardare le postazioni dello Stato Islamico in Siria. Risparmiando carburante e ore di volo, le loro incursioni diventeranno più rapide ed efficaci. È una buona notizia. L’impegno russo contro l’Isis induce a sperare in una rapida intesa tra la Russia e gli Stati Uniti per terminare la guerra civile siriana. Ponendo l’Isis al centro di tutte le battaglie, e stabilito il cessate il fuoco nel resto del paese, Putin e Obama si troveranno a combattere dalla stessa parte. Il tempo necessario per appianare i principali contrasti in Siria. E favorire, perché no, la distensione anche in un’altra parte del mondo, l’Ucraina orientale, dove sembra profilarsi un nuovo scontro tra le forze russe e quelle occidentali. È una buona notizia, abbiamo detto. Il problema è che, nella politica internazionale, le notizie sono buone o cattive, in base al punto di osservazione. Ciò che l’asse Mosca-Teheran rappresenta, per gli interessi occidentali, deve essere chiarito.
Putin sta cercando di costruire un’alleanza politica, economica e militare, tra Iran, Russia, Siria e Cina, per far arretrare gli Stati Uniti e i suoi alleati occidentali, nel Pacifico e in Medio Oriente. Non si tratta di un’alleanza per vincere una battaglia. Si tratta di una “grande strategia”, per modificare l’ordine internazionale.
L’8 agosto, soltanto pochi giorni fa, Putin ha favorito un incontro trilaterale tra Russia, Iran e Azerbaijan, uno Stato piccolo, ma di grande importanza per il disegno anti-occidentale del leader russo.

L’Azerbaijan è infatti il paese che lega l’Iran alla Russia. Il presidente azerbagiano, Ilham Aliyev, è profondamente irritato per le critiche di Obama al modo in cui tratta i suoi oppositori politici. Più in generale, è deluso dall’atteggiamento della Casa Bianca verso il suo paese. Un atteggiamento che considera poco attento e, nel complesso, ingeneroso. L’incontro, che si è svolto nella capitale dell’Azerbaijan, Baku, ha un notevole significato politico e rappresenta un successo per Putin. Fino a pochi anni fa, l’Azerbaijan non era affatto desideroso di migliorare i legami, né con la Russia, né con l’Iran. Della Russia, da cui si era reso indipendente nel 1991, l’Azerbaijan temeva lo strapotere. Dell’Iran, invece, temeva la concezione teologica della vita politica. La grande maggioranza della popolazione azerbagiana è sciita, come quella iraniana, ma il suo governo è secolare. L’Iran è un paese che cerca di tornare nell’arena internazionale, dopo l’isolamento causato dalle sanzioni contro il suo programma nucleare. Putin è l’uomo che, più d’ogni altro, opera per favorire l’Iran.

Il 24 giugno 2016, in occasione del vertice annuale dell’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione, tenutosi in Uzbekistan, Putin ha chiesto di accogliere la domanda di adesione dell’Iran. L’Organizzazione di Shangai per la Cooperazione è un’alleanza di otto paesi che ambisce a sfidare il blocco occidentale. Ne fanno parte anche Cina, Russia, India e Pakistan, che sono quattro potenze nucleari. Il suo statuto non ha un articolo paragonabile all’articolo 5 del trattato della Nato, che obbliga tutti i paesi a intervenire per difendere un paese membro, nel caso di un’aggressione esterna, ma lavora per introdurlo. Xi Jinping, il presidente della Cina, frena sull’ingresso dell’Iran, per una molteplicità di ragioni, ma Putin insiste e punta i piedi. L’Iran gli è riconoscente e consente il decollo degli aerei russi dalle sue basi.

Il progressivo allontanamento di Erdogan dal blocco occidentale sarebbe il più grande successo di Putin. Il fallito colpo di Stato del 15 luglio in Turchia ha attivato una nuova dinamica politica, che i leaders europei non sembrano avere colto in tutta la sua gravità. Il dibattito pubblico è tutto incentrato sulla figura di Erdogan e non coglie ciò che si muove alle sue spalle. Cartina geografica alla mano, la Russia confina con l’Azerbaijan, che confina con l’Iran, che confina con la Turchia, che confina con la Siria.

Una volta chiarita la grande strategia di Putin, diventa più agevole comprendere l’accanimento con cui combatte, al fianco dell’Iran, per difendere Bassar al Assad.
 
Perdere il dominio sulla Siria sarebbe un danno non rimediabile. Ecco perché non c’è niente che il fronte filo-americano possa fare per sottrarre la Siria all’influenza della Russia. La determinazione con cui Putin difende Bassar al Assad non è alimentata soltanto dal bisogno di difendere le basi militari russe di Tartus e Latakia, sulla costa siriana. Ai fini della strategia di Putin, Bassar al Assad deve rimanere saldamente al suo posto. Semmai, è Erdogan che d
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