Parole che oggi incombono come nubi nere sul massacro. «La morte è la condanna per atti omosessuali nell'Islam. Non c'è niente di cui vergognarsi – diceva Sekaleshfar in conferenza, aggiungendo che la sentenza di morte è un'atto di compassione - Dobbiamo essere felici per quella persona. Noi crediamo in un aldilà, crediamo in una vita eterna. Con quella sentenza sarà perdonato loro tutto e non saranno più responsabili in seguito».
Da allora per il predicatore si sono susseguite conferenze, una dopo l'altra, sparse in tutto il mondo: a giugno, mese del Ramadan, Sekaleshfar è stato invitato a parlare ogni sera all'Husain Islamic Centre di Earlwood, a sud di Sydney. Per adesso non è giunta comunicazione di alcun annullamento.
Dal canto suo, Sekaleshfar si è sempre difeso da chi lo ha definito un predicatore d'odio. «Frasi decontestualizzate e dunque rese pericolose» aveva detto riferendosi alla conferenza tenuta in Michigan. E ora, davanti alla strage di Orlando, torna a parlare di omosessuali su Facebook rispondendo alle accuse: «Esprimo le sincere condoglianze agli amici e alle famiglie del massacro. L'uccisione di vite innocenti non è mai giustificata dalla religione». Poi, tornando a riferirsi ai suoi sermoni, ha aggiunto: «Dal momento in cui è avvenuta la sparatoria di Orlando, ho ricevuto minacce di morte e messaggi minatori in relazione a una notizia che ha presentato falsamente le mie affermazioni e le mie credenze. Questa "notizia" si sta diffondendo su internet e viene collegata ai sentimenti del killer di Orlando. Tale connessione è impossibile, perché se il ragazzo avesse ascoltato la mia lezione, avrebbe saputo che io condanno l'odio e la violenza e parlo di compassione verso tutta l'umanità». Ma le sue parole non sono bastate per fermare l'ondata di messaggi.
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