Libia, forze speciali sul campo e raid mirati: così l'Italia si prepara ad intervenire

Libia, forze speciali sul campo e raid mirati: così l'Italia si prepara ad intervenire
di Marco Ventura
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Giovedì 25 Febbraio 2016, 12:43 - Ultimo aggiornamento: 20:07

Forze speciali a protezione dei siti sensibili e raid mirati contro capisaldi dell'Isis. Lo scenario di guerra che si profila per l'Italia in Libia è quello di un intervento che non sarà probabilmente su larga scala e di terra, non si avvarrà di truppe che nella programmazione iniziale, cioè sotto l'ombrello ONU e al fianco degli alleati, erano calcolate in 5mila uomini.

Neppure gli americani vogliono mettere stivali nel fango, ma colpire dall'aria con droni armati in partenza da basi come Sigonella e velivoli riforniti in volo partiti dalla Gran Bretagna, e missioni come quella che ha distrutto a Sabrata una base jihadista (uccidendo combattenti dell'Isis non libici e due diplomatici serbi).

L'ADDESTRAMENTO
L'Italia vede via via sfumare la possibile guida della coalizione internazionale per stabilizzare della Libia con forze specializzate, come in Iraq, nella formazione e nell'addestramento della polizia e dell'esercito locali. Sarà invece una guerra invisibile di contenimento e raid puntuali. La parola d'ordine, per l'Italia, è una sola: “coordinamento”.
Roma non vuol restare tagliata fuori da manovre militari che in segreto compiono francesi e britannici nella Cirenaica e attorno a Bengasi sotto il controllo di Haftar. Incursori americani sarebbero già in Libia a svolgere un'attività di ricognizione e intelligence a supporto delle missioni dei droni e dei raid aerei via via che si renderanno necessari. La Libia comunque si è già di fatto disgregata.

Accanto alla Tripolitania a ovest e alla Cirenaica a est, il Fezzan a sud rientra in un'ideale e abbozzata (nelle cancellerie occidentali) tripartizione della Libia di Gheddafi secondo schemi ottomani. I francesi controllerebbero nel sud i flussi di combattenti in marcia nel deserto verso paesi sub-sahariani come il Mali.
 
GLI INTERESSI ECONOMICI
L'Italia ha interessi nelle piattaforme e nei terminal petroliferi oggi vigilati da guardie private, ma costantemente monitorati anche attraverso la visione dall'alto. I piani italiani prevedono blitz a difesa delle infrastrutture energetiche e, a regime, su richiesta libica, anche forme di protezione di altri siti sensibili, come gli aeroporti. Le unità destinate alla “prima linea” sono quelle note: incursori Col Moschin e sub Comsubin, unità speciali e addestratori dei carabinieri, e per mare il “San Marco”. I marò. Le fazioni libiche che stanno in queste ore combattendo contro l'Isis per impedirne l'avanzata chiedono anzitutto armi, molte armi.

La strategia occidentale (e italiana) è quella di lasciare alle forze locali, alle milizie anti-Califfo, seppure in conflitto tra loro, il “lavoro sporco” della guerra guerreggiata. È infatti interesse sia dei libici, sia degli europei e occidentali e degli arabi della Liam (“Libyan international assistance mission”) rendersi il più possibile invisibili per non “dare l'impressione” di un'occupazione dal sapore coloniale.

L'Italia al momento schiera basi aeree, sommergibili, navi, droni, caccia AMX spostati dalla base del 51° stormo di Istrana (Treviso) nell'aeroporto militare di Trapani. Il rischio è che si ripeta quanto si verificò in Afghanistan agli albori dell'intervento, con una missione americana e una Nato che agivano in modo scoordinato. Roma reclama un coordinamento. Non un vero comando unico, ma una ripartizione coordinata del “lavoro”. Gli italiani hanno una consolidata conoscenza del territorio, della distribuzione sul terreno di tribù e milizie, e sulla carta una predisposizione benevola a proprio favore di larghi strati della popolazione libica.

SITUAZIONE INSTABILE
Complica la situazione, però, lo scenario fuori della Libia, tutt'altro che stabile. L'Algeria continua a dichiarare la propria contrarietà a qualsiasi forma di intervento straniero. Lo stesso vale per la Tunisia, da dove arriva in Libia il maggior numero di foreign fighters. E se Turchia e Qatar appoggiano Tripoli e Misurata, Tobruk ha il sostegno di Egitto e Francia.

Infine, è in Libia che si combatte la guerra interna per la supremazia nel mondo jihadista, con prove di forza come l'incursione ieri di 150 guerriglieri dell'Isis a Sabrata. Mordi e fuggi.

C'è poi il rischio di azioni terroristiche in Italia come ritorsione al maggior coinvolgimento italiano in Libia. Una preoccupazione che spiega la prudenza del governo Renzi nel comunicare i progressi poco confortanti della situazione davanti alle nostre coste.

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