Dal disagio sociale agli omicidi, così è nata la guerra agli agenti

di Flavio Pompetti
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Lunedì 18 Luglio 2016, 07:55
NEW YORK La guerra è iniziata alle cinque di mattina del quattro dicembre 1969 a Chicago, quando la polizia in borghese fece irruzione nell'abitazione del 21enne leader delle Pantere Nere Fred Hampton e lo freddò nel corso della perquisizione in cerca di armi illegittime. Quattro giorni dopo le teste di cuoio della polizia di Los Angeles fecero irruzione nella sede nazionale delle Black Panters e ferirono in una sparatoria tre degli attivisti del gruppo. Nel corso dei dodici mesi successivi il conto delle vittime salì a 28 per i militanti neri, e a 15 per le forze dell'ordine, prima che il programma di repressione Cointelpro (Counter Intelligence Program) ordinato dal capo della Fbi smantellasse l'organizzazione tra arresti e pressione investigativa.

LA GUERRA ALLA DROGA
La violenza tra neri e il corpo di polizia di quegli anni faceva parte di un movimento di sommossa che ha attraversato tutti i paesi occidentali, dall'America all'Europa con diverse connotazioni etniche e sociali, e che ha avuto sviluppi ed esiti paralleli in ognuno dei teatri insurrezionali. La radicalizzazione della deriva razziale negli Usa è venuta invece solo a metà degli anni 80 con l'avvento della guerra alla droga dichiarata da Ronald e Nancy Reagan. Plotoni di agenti assunti in fretta e poco addestrati sono stati inviati in aree sempre più lontane da quelle di provenienza, nell'occhio del ciclone di comunità dominate dalla presenza di crack e della calibro 9.
Il loro compito non era quello di capire dove si trovavano, ma di reprimere. E la repressione ha dato i suoi frutti. In un decennio il numero di detenuti per traffico e uso di droga è passato da 44.000 a 500.000. Gli ultimi venticinque anni di guerra alla droga, prima della liberalizzazione degli ultimi anni, hanno sottratto dalle strade, dai quartieri e dalle famiglie di colore, un milione e mezzo di padri di famiglia, figli, fratelli.

NEI GHETTI
Il fenomeno ha avuto conseguenze enormi sulla formazione mentale dei poliziotti. Molti si sono abituati a equiparare i neri americani alla figura del criminale, altri hanno addirittura contribuito a rafforzare questa identità. Un'inchiesta presso il dipartimento di Chicago tre anni fa ha mostrato che in alcuni ghetti i poliziotti erano ormai abituati a provocare i ragazzi di colore fino dalla più tenera età, addirittura ad istigarli a commettere piccoli reati. L'importante era riuscire a schedarli da piccoli, in modo da poterli ricattare e trasformarli in collaboratori, o anticiparne le mosse se avessero deciso di arruolarsi nella monoeconomia imperante del crimine. Fuori dalle grandi città questa oppressione sistematica è stata operata dalle pattuglie che controllano il traffico. Abbiamo scoperto negli ultimi giorni che Philando Castile, l'uomo ucciso in macchina a fianco della fidanzata che lo riprendeva con il telefonino, aveva alle spalle 52 controlli stradali e 6.500 dollari accumulati in multe.

Il poliziotto che gli ha sparato lo aveva fermato per una lampadina dello stop guasta. In ogni periferia americana il numero dei controlli su automobilisti di colore è tre-quattro volte superiore a quello dei bianchi, così come nelle città l'abitudine allo stop and frisk (fermo e perquisizione immediato in strada), dove è ancora legittimo, colpisce con proporzione esponenziale i cittadini neri.

L'UNDICI SETTEMBRE
L'11 di settembre del 2001 non ha aggiunto un ulteriore peso sul piatto di questa giustizia disuguale, ma indirettamente ne ha aggravato i termini. Tolleranza zero, sospetto e maggiori poteri di controllo, hanno inciso in modo più profondo tra la comunità più debole e già soggetta a discriminazione. La sfiducia si è radicata, e la tensione è salita di tono. Il resto del paese se ne è reso conto solo quattro anni fa con le proteste per la morte del 17enne Trayvon Martin, abbattuto dalla pistola del vigilante George Zimmerman, e poi con la valanga di video che la stessa comunità di colore ha iniziato a filmare e a trasmettere sistematicamente ad ogni incontro con la polizia.
Il quadro che ne sta venendo fuori è desolante e le misure di correzione sono già state prese da molti distretti americani. Ma il pregiudizio è profondo da entrambe le parti e la soluzione, ammesso che possa essere disgiunta da una parallela riappacificazione razziale nel resto della società americana, richiederà tempi lunghi. Intanto l'anno scorso in tempi di alta tensione ma di relativa pacificazione nazionale, una vittima su quattro delle pistole della polizia è un giovane uomo di colore. Nell'anagrafe del paese questo gruppo conta appena uno su 15 cittadini.