Una polizza può aiutare a ridurre i danni del sisma

di Enzo Boschi
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Sabato 5 Novembre 2016, 00:05
Di tutti paesi dell’Europa l’Italia è il paese più esposto alle catastrofi. Terremoti, alluvioni, frane, maremoti, avversità atmosferiche eccezionali di ogni sorta, colpiscono regolarmente il Belpaese che deve mettere in conto 3-3,5 miliardi annui di danni materiali. Questo in media, perché se accade Big One, ovvero l’evento con ricorrenza ogni 200 anni, allora le perdite economiche causate da calamità schizzano molto in alto. Per esempio, incrociando la storia sismica nazionale con gli strumenti parametrici di sofisticati modelli, si ricavano proiezioni da brivido.
Secondo una simulazione della compagnia Swiss Re, un terremoto di magnitudo 6.2 (come quello di Amatrice) nell’area di Parma potrebbe causare perdite per 53 miliardi di euro. A titolo di confronto si consideri che gli 8 rilevanti terremoti (escluso quello dell’ultima settimana) avvenuti negli ultimi 40 anni sulla Penisola hanno totalizzato danni per 60 miliardi di euro circa. Per completare queste fosche statistiche bisogna sapere che, dal 1970 ad oggi, 7 dei 10 terremoti più costosi d’Europa si sono verificati in Italia, paese doppiamente esposto sia per la vulnerabilità del suo patrimonio artistico che per le costruzioni edificate in assenza o in barba alla normativa antisismica. Aspetto che dovrebbe far riflettere sulla concessione del governo di assicurare il risarcimento a tutti, comunque e nonostante le responsabilità precise di taluni, pubblico o privato che siano. 

L’indesiderabile primato italiano di esposizione alle catastrofi naturali si accompagna a un’aggravante: risarcire costerà sempre di più. Si accresce il valore concentrato su ogni metro quadro. È un trend in accelerazione, confermano nel settore assicurativo. Del resto, basta paragonare i macchinari di una filanda con quelli di una fabbrica 4.0 di oggi; più semplicemente, basta il confronto tra la concentrazione edilizia ai tempi dei nostri nonni e quella di adesso; o, ancora, tra gli elettrodomestici contenuti nella casa dei genitori e le apparecchiature elettroniche mediamente possedute oggi. È evidente che con questo aumento vertiginoso dell’esposizione, indennizzare con il solo intervento dello Stato non può reggere alla lunga. Non sono solo le casse pubbliche a non farcela, ma finisce per azzopparsi l’intero sistema paese con ripercussioni sulle valutazioni delle società di rating. Si calcola che un evento catastrofale con ritorno, ossia che avviene statisticamente ogni 250 anni, può arrivare a produrre una retrocessione di quasi un punto. C’è poi una prospettiva macro che va tenuta in considerazione. Le misure di prevenzione e gli interventi strutturali antisismici sono fondamentali e imprescindibili ma neppure così il rischio può essere completamente annullato, in particolare quello di natura economico. Una grande calamità catastrofale, inoltre, sconvolge il sistema economico produttivo del Paese, mette a dura prova la sua resilienza, impatta sul Pil. Magari salviamo la vita ma perdiamo casa e lavoro: di qui l’importanza di una gestione del rischio ex-ante combinando prevenzione anti-sismica e copertura assicurativa.

Le Pmi sono largamente sottoassicurate contro catastrofi naturali e poco più dell’1% degli immobili residenziali è coperto. La penetrazione assicurativa del ramo danni non-auto misurata in volume dei premi non auto in rapporto al Pil in Italia è pari allo 0,9%, in Francia al 2,4%, in Germania al 2,5% e mediamente sopra il 2% in tutti gli altri paesi europei dove il meccanismo di mutualità permette di correggere l’incidenza economica del premio sul portatore di rischio più alto. Pagando tutti, pagheremmo molto meno. Con una penetrazione superiore al 90% si avrebbero premi medi di 100 euro l’anno, riconoscono alcuni assicuratori, ma c’è un problema culturale: esistono difficoltà di far accettare un concetto di obbligatorietà a consumatori già guardinghi con l’obbligo del RC Auto e professionali. Singolare la modesta attenzione del legislatore alla funzione sociale della copertura assicurativa contro inondazioni e terremoti in un paese come l’Italia. Non godono di nessun incentivo fiscale: non sono deducibili nella dichiarazione dei redditi (come invece avviene per le polizze vita) e l’Iva è alta (22,25%). Gli schemi di copertura potrebbero prevedere una cooperazione tra pubblico e privato. Lo Stato potrebbe assumere il ruolo di riassicuratore in ultima istanza, dove per esempio le compagnie private coprono fino a concorrenza di un importo alto, oltre a quella soglia (caso meno probabile) interverrebbe lo Stato che potrebbe, per esempio, coprirsi con operazioni di cartolarizzazione. 

Se il terremoto dell’Irpinia, dove i primi soccorritori ad arrivare sul posto furono operai specializzati inviati dal sindacato, ha portato alla nascita della Protezione Civile, possiamo sperare che questi ultimi sismi in Centro Italia, portino a soluzioni efficienti e finanziariamente sostenibili di risarcimento dei danni economici da calamità naturali?
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