Regeni, i pm romani: la collaborazione è a rischio. Dalle torture al movente, ecco tutte le falle

Regeni, i pm romani: la collaborazione è a rischio. Dalle torture al movente, ecco tutte le falle
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Sabato 26 Marzo 2016, 09:57 - Ultimo aggiornamento: 09:59
LO SCENARIO
ROMA Il comunicato che nel tardo pomeriggio arriva dal ministero dell'Interno egiziano è il segnale che governo e procura hanno aspettato per tutto il giorno. Dice solo che le indagini sull'omicidio di Giulio Regeni proseguono «in coordinamento» con il pool di investigatori italiani ma significa che la rottura è stata evitata. Era atteso dalla notte precedente. Perché quando la National security aveva comunicato ai nostri investigatori in trasferta l'ennesimo depistaggio, questa volta confezionato con gli effetti personali del ricercatore italiano, era stato definitivamente chiaro che ogni collaborazione tra Italia e Egitto nelle indagini fosse impossibile e che la trasferta del procuratore Giuseppe Pignatone e del pm Sergio Colaiocco di due settimane fa si riduceva a una farsa. Così era cominciata l'attesa per una nuova retromarcia dell'Egitto. Solo dopo la procura ha deciso di mandare il primo chiaro messaggio, esponendosi direttamente e dichiarando quello che da due mesi appare evidente: «l'inidoneità» degli elementi comunicati dagli investigatori egiziani. I punti oscuri sul caso Regeni rimangono, mentre l'ennesimo depistaggio sembra incrinare ulteriormente i tentativi di collaborazione tra Italia ed Egitto, alla vigilia della visita a Roma degli investigatori egiziani.
I PUNTI OSCURI
Il primo despistaggio era arrivato il 3 febbraio, a poche ore dal ritrovamento del corpo: Giulio Regeni, per la polizia, era vittima di un incidente stradale. Due giorni dopo all'Italia è stato offerto l'arresto di spacciatori comuni, presunti assassini del ricercatore. Le versioni sono cambiate di settimana in settimana: Giulio era stato a una festa in un appartamento nel centro del Cairo e aveva fatto uso di droghe, lì era stato ucciso. Poi un'altra verità: Regeni era alla manifestazione a piazza Tahir e, infine, la pista riproposta ieri (ma nel nuovo depistaggio con tanto di testimonianze ad hoc) era rimasto vittima di una rapina. Il movente dell'omicidio e la ragione delle torture non sono mai state fornite dall'Egitto, che ha persino tentato di negare le violenze subite da Giulio per sei giorni prima di essere ucciso. Resta il mistero della fotografia che aveva allarmato il ricercatore, quella che una donna gli aveva scattato a una riunione dei sindacati. I sospetti riguardano ancora gli apparati di sicurezza, primi indiziati anche per le torture subite da Regeni, che non troverebbero spiegazione con le logiche della criminalità comune. Nessun rapinatore per due mesi conserverebbe documenti e telefoni della vittima.
IL MESSAGGIO
La nota della Procura generale del Cairo, per smentire le notizie sulla ”chiusura” del caso Regeni, non è mai arrivata, ma al procuratore Giuseppe Pignatone è bastata la retromarcia del ministero dell'Interno egiziano, per inviare un segnale chiaro sul quale aveva preso tempo. E' l'ultimo prima della fine della collaborazione: «La procura di Roma ritiene che gli elementi finora comunicati dalla procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo non siano idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni e per identificare i responsabili dell'omicidio. È quindi necessario - si legge - che le indagini proseguano, come del resto si evince dal comunicato appena diramato dal ministero dell'Interno egiziano». Si rimane in attesa che la procura generale del Cairo trasmetta le informazioni e gli atti, da tempo richiesti e sollecitati, e altri che verranno richiesti al più presto in relazione a quanto prospettato ai nostri investigatori» Il magistrato si riferisce alle richieste avanzate più di un mese e mezzo fa. A cominciare dalle immagini delle telecamere della zona dove Giulio abitava e delle due stazioni della metropolitana dalle quali sarebbe dovuto passare. Fotogrammi che gli egiziani dicono essere stati cancellati. Poi i dati relativi alla cella telefonica di Dokki, il quartiere dove Giulio è scomparso, e quelli dell'area dove il 3 febbraio è stato ritrovato. Attraverso i telefoni cellulari ”passati” in quelle zone potrebbero essere individuati gli assassini.
Valentina Errante
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