La Cassazione ha infatti confermato la multa 'light' stabilita dal Tribunale di Roma il 25 gennaio del 2013 e ha respinto il ricorso del Codacons che sosteneva che l'immensa platea dei contribuenti messi a nudo su internet aveva diritto a ricevere un risarcimento danni complessivo di venti miliardi di euro. La Suprema Corte ha escluso che possa esserci una “class action” per violazione della riservatezza, materia che ammette ricorsi promossi dalle singole persone e non dalle associazioni, come il Codacons. Respinto anche il reclamo dell'Agenzia delle Entrate che ha continuato a insistere sul fatto che «consentire una conoscenza generale, da parte di chiunque, degli elenchi nominativi dei contribuenti e degli imprenditori e professionisti, serviva appunto a promuovere il controllo più diffuso possibile da parte della comunità, sull'adempimento degli obblighi tributari e quindi anche a stimolare il rispetto degli stessi». Insomma, per l'agenzia la pubblicazione on-line dei redditi degli italiani era il meccanismo che «meglio permetteva di diffondere in modo capillare i dati reddituali e così di raggiungere il maggior numero possibile di cittadini, dai quali trarre informazioni utili a far emergere il reddito imponibile reale».
Tuttavia, ha obiettato la Suprema Corte, anche nel 2008 per portare avanti un'azione del genere era pur sempre necessario il consenso preventivo di ogni singolo contribuente, e l'Agenzia delle Entrate avrebbe ad ogni modo dovuto consultare il Garante della privacy prima di esporre tutti alla gogna fiscale. «È evidente - scrive la Cassazione - che l'Agenzia delle Entrate sia andata ben al di là dei propri obblighi allorquando ha disposto l'ulteriore pubblicazione degli elenchi dei contribuenti sul suo sito internet», così operando il direttore dell'agenzia ha dato il via libera a una 'glasnost' dei redditi «che oltre a non essere prevista» da alcuna norma, «era potenzialmente idonea a danneggiare i singoli ed ha ampiamente oltrepassato i vincoli territoriali e temporali» prescritti dal dpr 600 del 1973 e 633 del 1972.
In questo modo sono state violate le norme che «miravano a scongiurare una consultazione indiscriminata» dei dati fiscali. La legge 113 del 2008 ha riorganizzato la materia, ricorda infine il verdetto 15075 della Prima sezione civile - escludendo gogne fiscali e prevedendo che i dati sui redditi siano consultabili solo da chi ha un interesse «qualificato» per farlo e ciò può avveniere solo presso l'ufficio delle imposte territorialmente competente o il Comune di residenza del contribuente oggetto di “studio”.
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