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MIGRANTI

Viaggio sull'Aquarius, la nave dei salvataggi: «Noi che tiriamo fuori i profughi dall'inferno»

Articolo riservato agli abbonati
20 Marzo 2017 di Cristiano Tinazzi (Lettura 4 minuti)
Elizabeth guarda continuamente l'orizzonte. «Dove siete?» si chiede ad alta voce, mentre la nave si dirige verso un possibile obbiettivo. Elizabeth viene dal Massachusettes. È la più anziana del team di Medici Senza Frontiere. Siamo sulla nave Aquarius di Sos Mediterranee, un'associazione umanitaria internazionale, e siamo in rotta nella zona Search and Rescue (Sar) a circa quaranta miglia nautiche dalla costa libica. In sala comando il team di plancia è al lavoro. Il comandante della nave continua a monitorare il radar. C'è un segnale. «È debole, ma potrebbero essere loro. Sono lenti, viaggiano sotto i tre nodi e sempre verso nord».
L'Aquarius si trova a circa quaranta miglia nautiche dalla costa libica, in acque internazionali. A tratti appaiono, guardando con un potente binocolo, le installazioni del terminal petrolifero di Mellitah, situata a pochi chilometri da Sabratah. È da questo tratto di costa che spesso partono canotti senza chiglia, male assemblati e inadatti alla navigazione, sui quali troppo frequentemente trovano la morte migliaia di migranti. Impossibile pensare di arrivare in Italia con mezzi del genere. Imbarcazioni con motori vecchi e di bassa potenza con i quali si impiegano circa sei ore per arrivare in acque internazionali. Il tratto di mare libico si attraversa più facilmente se si paga prima la guardia costiera, la quale in cambio di qualche centinaio di dollari ti può poi accompagnare fino al limite delle acque nazionali, ci racconteranno alcuni migranti.

L'AVVISTAMENTO
Klaus Merkle, il coordinatore delle operazioni di ricerca e soccorso della nave Aquarius, segnala al suo team un possibile avvistamento. Da questo momento tutti devono tenersi in stato d'allerta. Klaus dà le ultime disposizioni con la sua ricetrasmittente. «È un gommone di una decina di metri, carico di persone, più di un centinaio». Si parte. Le motolance di salvataggio vengono calate in mare. Nel giro di poche ore le operazioni di soccorso si moltiplicano: sei, sette imbarcazioni vengono avvistate una dopo l'altra.

Sono cinque gommoni e due barchini di legno. Sulla Acquarius vengono caricati bengalesi, senegalesi, maliani, gambiani. Le nazionalità si susseguono una dopo l'altra. Ci sono anche libici, scappati dalla capitale a causa dei combattimenti e per la mancanza di una prospettiva economica. E c'è anche un siriano tra le 946 persone salvate nell'arco di sette ore ininterrotte di soccorso in mare.

I RACCONTI
«Mi hanno chiesto mille e cinquecento dollari per salire sulla barca - dice Rafik, originario di Raqqa - solo perché sono siriano. Gli africani pagano invece qualche centinaio di dollari. Sono arrivato in Sudan e poi sono passato via terra in Libia. È un inferno qui. Ti rubano tutto, tutto». Rafik è fortunato, non è stato picchiato o torturato come molti altri. Un signore distinto, si avvicina parlando un perfetto inglese. Viene da Dacca e racconta di abusi della polizia.
Un ragazzo gambiano si aggiunge alla discussione: «Sono stato tre mesi in prigione, poi mio cugino ha pagato e mi hanno liberato». Storie terribili di violenze, soprusi, detenzioni illegali e sfruttamento ripetute centinaia di volte, come tante fotocopie di una singola pagina insanguinata. «I nostri soccorritori sono tutti volontari e provengono da diverse parti del mondo come Italia, Germania, Austria, Martinica, Francia, Ecuador, Svezia. Alcuni di loro hanno lavorato l'anno scorso in Grecia, sulla rotta balcanica dei migranti. Quando non sono qui in missione sono comandante di navi commerciali», racconta Klaus. «Come uomo di mare credo che questo sia il posto giusto e il momento giusto dove stare».

Nicola Stalla viene da Alassio. È ufficiale di coperta su navi mercantili da carico. Per lui è la seconda missione sull'Aquarius. «Vedere con i propri occhi cosa succede in queste acque cambia la percezione delle cose. Avevo già fatto salvataggi in altri ambiti ma quello che si trova qui nel canale di Sicilia è completamente diverso». Dal Nord al Sud dell'Italia.

LA MISSIONE
Da Alassio a Vibo Valentia. A parlare è Rocco Aiello, un altro soccorritore. «L'Acquarius l'ho vista per la prima volta a Bova Marina, in provincia di Reggio Calabria. Ero lì come volontario nella Protezione Civile. C'era uno sbarco di migranti. È stato amore a prima vista con quella nave. Nei primi giorni di navigazione era tanto lo stress, la paura di sbagliare, però poi ho avuto la fortuna di trovare persone come me». Rocco ha lasciato a casa le sue due bambine e la sua compagna, Nicola la donna con la quale convive da vent'anni, Klaus una figlia ormai grande e impegnata come lui in questioni umanitarie, Elizabeth i suoi affetti. A bordo della nave, uno dei lavori più delicati è il suo. È lei che, come una madre apprensiva, ascolta le donne e controlla i bambini, affiancata da due infermiere: Heidi, tedesca, e Martina, svedese. E da Conor, medico irlandese.

«Lavoro con Medici senza Frontiere dalla primavera del 2010», racconta Elizabeth. «Quando ero sul finire della mia carriera dovevo prendere una decisione: o passare i miei ultimi anni per mettermi alla pari sui libri con gli aggiornamenti tecnici nel mio campo o mollare tutto. Ho fatto la seconda scelta. Diverse di queste donne e ragazze hanno subito violenze. Alcune pensano di essere incinta e chiedono un test. Un buon numero di loro si confida, si racconta. Avere a che fare con una donna le incoraggia a parlare e cerco di spingerle a farlo perché la mia speranza è che se riusciamo a provare che hanno bisogno di protezione, se riusciamo a documentare il loro stato, le cose andranno meglio per loro e potranno richiedere protezione quando arrivano in Europa».
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