Misure che consentano di non discriminare le donne per periodi di assenza legati alla maternità; un'organizzazione che preveda riunioni non oltre un certo orario e in modalità anche ibrida (in presenza oppure in videoconferenza) per permettere di conciliare vita e lavoro; l'utilizzo di un linguaggio inclusivo a partire dall'uso delle forme femminili dei titoli professionali. Sono alcune delle misure suggerite dalle linee guida sulla parità di genere per la pubblica amministrazione firmate dai ministri Elena Bonetti e Renato Brunetta, e inserite nel quadro del percorso del Pnrr, che fissano gli obiettivi prioritari per le amministrazioni.
L'Italia si colloca attualmente al 14esimo posto tra i 27 paesi Ue in tema di parità di genere: nello specifico del mondo del lavoro è addirittura ad un livello «tra i più bassi dell'intera compagine degli Stati membri».
Molte le misure specifiche proposte nel documento. A partire dalle procedure di reclutamento: nel testo si suggeriscono misure per evitare che, tra concorrenti di diverso sesso, possa determinarsi una discriminazione indiretta per effetto di periodi di assenza legati a fenomeni come la maternità. Ma ci sono anche indicazioni su come costruire bandi che non riproducano le discriminazioni di genere e favorire commissioni esaminatrici attente a questi temi. Sul fronte organizzativo, poi, per incoraggiare il rispetto del confine tra i tempi di lavoro e quelli della vita personale, si prevede ad esempio che l'amministrazione si organizzi per svolgere riunioni non oltre un certo orario, più facilmente confliggente con la necessità di gestire carichi familiari, e che si preveda comunque una modalità di svolgimento ibrida, prevedendo di default un collegamento in videoconferenza anche se vi sono partecipanti in presenza. Oltre a programmi dedicati al rientro post maternità/paternità e per gestire il «riallineamento» delle risorse a seguito di assenze prolungate.
Un'attenzione anche a favorire la diffusione della cultura della leadership al femminile, non solo promuovendo una formazione di base obbligatoria e organizzando iniziative sull'empowerment femminile, ma anche sensibilizzando all'utilizzo di un linguaggio inclusivo sotto il profilo del genere, compresa la raccomandazione ad usare le forme femminili corrispondenti ai nomi maschili o l'uso di entrambe le forme in ambito professionale, ad esempio per titoli professionali. Anche lo smart working, infine, va regolamentato in chiave non discriminatoria: evitando che «diventi - come già il part-time - uno strumento rivolto solo alle donne».
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