Silurare Salvini? La sola ipotesi era ritenuta, fino a prima del voto disastroso della Lega in queste Comunali, non solo blasfema ma impronunciabile, assurda, fuori luogo e fuori tempo. Si è finora detto infatti: il Carroccio è un partito leninista e il capo non si discute mai. Ecco, adesso Salvini - indebolito e stremato dai suoi errori che sono quelli del viaggio a Mosca, del referendum gestito malissimo e del rapporto indeciso, incerto, altalenante e più di lotta che di governo rispetto all’esecutivo Draghi: e da tutto ciò deriva il tonfo elettorale - si può discutere ma non si può ancora silurare.
La Lega del leninismo
È la Lega del leninismo, tipo quella in cui non esiste dirigente che non dica, ma riservatamente: “Matteo non ne azzecca più una”. Ed è una sconfessione pubblica del leader l’assenza di Giorgetti ieri al vertice in via Bellerio. Così come gli atteggiamenti di Zaia e di Fedriga che vogliono bene a Matteo ma sembrano distanti, nelle loro mezze parole e soprattutto nei loro silenzi, dal segretario. Che di fatto ormai si muove in una foresta di dubbi, quelli degli altri nei suoi confronti, di recriminazioni (chi come i giorgetti si sostengono che bisogna essere più governativi e chi come il vicesegretario Fontana lascerebbe subito Draghi al suo destino e Salvini indeciso e sbandante dice a tutti: “Accetto consigli”), di freddezza e di solitudine. “Ma se lui si rivolge a tipi improbabili, sconosciuti e pericolosi come Capuano, quello del viaggio in Russia, abbandonando il rapporto con il partito, la colpa di chi è se non sua?”: questo si sente dire in queste ore tra parlamentari lumbard e tra quelli della Lega veneta che sono particolarmente preoccupati della china che sta prendendo il partito salviniano, ovvero della sua tendenza alla sconfitta continua.
La via crucis di Salvini
Salvini inizia a capire l’antifona.