ROMA Matteo Salvini torna alla carica sui migranti. Sferza l'Europa, il vicepremier e leader della Lega, «dopo tante chiacchiere deve muoversi, si deve svegliare e aiutarci». Poi annuncia una stretta imminente sugli ingressi irregolari: «Ritengo che sia necessario un nuovo decreto sicurezza già a settembre, perché l'Italia non può essere il punto di arrivo dei migranti di mezzo mondo».
Il day-after del discorso di Sergio Mattarella al Meeting di Rimini, segnato dall'appello per aumentare i flussi regolari e fermare il traffico di esseri umani, inizia a Pinzolo, fra le Dolomiti. Salvini riunisce i sindaci del Trentino a guida Lega, prepara interventi sugli orsi e i «grandi carnivori». Ma la testa è già a Palazzo Chigi e ai dossier della ripartenza.
LA STRETTA
Al ministro delle Infrastrutture i cronisti chiedono un commento a caldo sulle parole del Capo dello Stato. Sull'invito a difendere la Costituzione, così com'è, che ad alcuni è sembrato un freno alle ambizioni leghiste sull'autonomia differenziata. «Sono ministro, ho giurato sulla Costituzione - ha risposto ieri Salvini - per me quello che dice la Costituzione è legge». "Il Capitano" schiva le polemiche.
Musica per Salvini. Il ministro richiama i "suoi" decreti sicurezza e coglie l'occasione per un affondo contro l'Ue che suona come il gong per la campagna delle Europee. «Lampedusa, Ventimiglia o Trieste non sono confini italiani: sono confini europei», tuona dal Trentino. «L'Italia ogni anno manda miliardi di euro a Bruxelles, la difesa dei confini italiani deve essere una priorità europea. E ad oggi purtroppo non lo è stata, siamo sempre stati soli». In verità la gestione del sistema di accoglienza inizia a preoccupare l'intera maggioranza. Da un lato gli hotspot al collasso e l'hub di Lampedusa ormai allo stremo. Dall'altro la protesta trasversale dei sindaci che lamentano le falle del sistema di "accoglienza diffusa", ovvero la redistribuzione tra le Regioni dei migranti. A loro Mattarella è sembrato offrire una sponda a Rimini quando ha richiamato l'attenzione su «chi vaga senza casa, senza lavoro e senza speranza» e «chi vive ammassato in centri di raccolta, sovente mal tollerati dalle comunità locali». È questo un dossier che segue con una certa apprensione la stessa Meloni, tornata a Roma venerdì sera. «Dopotutto, è nelle città che si va a votare...», commentano dal cerchio della presidente. Di qui l'intenzione di dare un segnale ai primi cittadini e sgonfiare la mobilitazione che al Nord, specie nel Veneto di Luca Zaia, ha aperto crepe anche nel centrodestra.