ROMA «Gli insulti di Bossi ci fanno migliorare». Matteo Salvini celebra la festa dei 40 anni della Lega ed evita di polemizzare con il fondatore. Ma è chiaro che questa non è una fase facile per il Carroccio e per il suo leader. Il quale in una giornata così simbolica riesce a compattare intorno a sé i big del partito, anche perché siamo alla vigilia di elezioni cruciali per il futuro della Lega, tra amministrative ed europee. «Dobbiamo stare compatti», è la parola d’ordine dei dirigenti e dei ministri salviniani e il corpaccione del partito proprio perché il momento è delicato tende a lasciare sullo sfondo e a non esasperare i malumori che ci sono.
La «risottata» a Varese, questa celebrazione tra cibo e comizi, nella terra natale del movimento inventato da Bossi (che alla festa non c’è e l’altro giorno a stroncato il vecchio amico Matteo: «Serve un altro leader»), per Salvini è l’occasione utile a rinsaldare le truppe e a lanciarle verso gli appuntamenti con il voto.
Dal palco, Salvini è incalzante: «Io non c’ero 40 anni fa. Sono del 1973 e ho fatto la prima tessera nel ‘90. Ringrazio colui che tutto ha cominciato. Senza Umberto Bossi non saremmo qui e milioni di italiani non parlerebbero di libertà». Poi: «Sono in Lega da 30 anni e sono abituato alle telefonate notturne e diurne di insulto e di polemica di Bossi, che avevo invitato qui, quindi mi servono per capire e migliorare».
In tanti ieri aspettavano l’intervento di Giancarlo Giorgetti. Qualcuno sperava che il ministro dell’Economia e leghista doc sparasse sul Capitano. Ma lui è il prudentissimo per antonomasia. E non infierisce mai sul leader in carica. «In questi anni di Lega abbiamo capito che non dobbiamo mollare mai», dice Giorgetti. E ancora: «Certe volte bisogna urlare, altre stare zitti. Certe volte bisogna reagire, altre sopportare. Sono regole che continuo a considerare avendo fatto il segretario della Lega lombarda. Sono regole fatte di gerarchia e disciplina che non deve diventare mai servilismo, sarebbe un errore». Si tratta di un sostanziale sostegno a Salvini, rispetto al quale è diverso in molti aspetti ma anche complementare. Giorgetti è Giorgetti, ed ecco Zaia. Sulla necessità di una nuova leadership, invocata da Bossi, il governatore veneto risponde così: «Io non entro in questo dibattito anche perché è sempre oggetto di polemiche».
LE INSIDIE
Quello che interessa a Zaia è l’autonomia. «Se in Parlamento la approvano prima delle Europee, bene. Se la approvano dopo, bene lo stesso». Così ha detto Zaia e ancora lui: «Basta che l’autonomia venga approvata. E’ un percorso travagliato, però si va avanti su questa direzione». Anche Zaia è con Salvini. Così come, nel reparto ministri, lo è Giuseppe Valditara. «La direzione di Matteo - assicura il titolare dell’Istruzione - è quella giusta. La Lega deve andare avanti con lui».
Per Salvini ci sono comunque da superare varie insidie: da quella dei nordisti che vogliono più Nord e meno Ponte di Messina nella strategia del capo a quelle di Meloni e di Tajani che non sembrano disposti a fare sconti (almeno sui tempi di approvazione) in materia di autonomia, e in più il leader azzurro ha scatenato una forte competizione elettorale nei confronti della Lega anche nel Settentrione. E anche chi dice, in area leghista, che la Lega s’è spostata a destra, troppo a destra. Ma Salvini ha tutte le possibilità di superare queste insidie. Basta non andare troppo male alle Europee e se dovesse portare il Carroccio al 10 per cento verrà benedetto con «l’acqua sacra del Po» (così è chiamata nel gergo lumbard), quella che Bossi fingeva di bere.