Referendum, perché l'invito all'astensione? La strategia del centrodestra per far fallire la consultazione

La tattica di chiedere agli elettori di non partecipare a un referendum per non far centrare il quorum è stata percorsa in passato da tutti, o quasi, i partiti

Una scheda referendaria
di Andrea Bulleri
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sabato 7 giugno 2025, 11:23 - Ultimo aggiornamento: 19:19

Non sarà l'appello di craxiana memoria: «Andate al mare», invitò l'allora segretario del partito socialista in occasione del referendum sulla preferenza unica nel 1991 (appello poi rivelatosi un boomerang visto che alle urne partecipò oltre il 60% degli aventi diritto). L'appello però è simile: disertare le urne per far fallire la consultazione su lavoro e cittadinanza in programma domenica e lunedì. Eccolo, l'invito lanciato dal centrodestra in vista del referendum promosso dalla Cgil. Con seguito di polemiche del centrosinistra (a cominciare da Pd, M5S e Avs) sull'opportunità di chiamare all'astensione in un momento storico già contrassegnato da una partecipazione elettorale tutt'altro che massiccia. «Giorgia Meloni dovrebbe vergognarsi», ha affondato il colpo Elly Schlein, critica con la scelta della premier di presentarsi al seggio ma senza ritirare le schede. 

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La strategia

Eppure, la strategia di chiedere agli elettori di non partecipare a un referendum per non far centrare il quorum è stata percorsa in passato da tutti, o quasi, i partiti.

Perché la consultazione sarà valida solo se alle urne si presenterà il 50 per cento più uno degli aventi diritto: circa 25,9 milioni di persone. Impresa non facile, considerata anche la natura piuttosto tecnica di alcuni dei cinque quesiti. E così chi come Fratelli d'Italia, Lega e Forza Italia ha preso le distanze dagli obiettivi della Cgil, punta sulla bassa partecipazione come leva politica per far mancare il quorum. 

Un'opzione a lungo dibattuta, anche tra i costituzionalisti, quella dell'invito ad astenersi dalle urne. Da una parte chi ricorda che secondo la Costituzione il voto è un "dovere civico". Dall'altra chi invece sottolinea come dal momento che la Carta prevede una soglia minima di votanti per rendere valida la consultazione, non votare è una scelta legittima e con un intento preciso tanto quanto votare. 

Gli appelli all'astensione in passato

Quel che è certo è che in passato da destra come da sinistra non sono mancati inviti a non andare alle urne. Ad «andare al mare», appunto, come invitò a fare Craxi. Oltre al già citato caso del referendum sulla preferenza unica del 1991 (in cui oltre al Psi anche la Lega si disse a favore dell'astensione), la premier pochi giorni fa ha citato un altro caso, quello della consultazione del 15 giugno 2003. Anche in quel caso si votava per abrogare alcune norme in materia di lavoro. E anche in quel caso ci fu chi chiese di non votare.

A farlo però fu in prima battuta l'allora partito più grande del centrosinistra, i Ds. Insieme alla Margherita (altro grande partito di centrosinistra, dalla cui fusione coi Ds nacque poi il Pd), ai Socialisti democratici italiani e ai Popolari dell'Udeur. «Non votare un referendum inutile e sbagliato è un diritto di tutti i lavoratori e non», si leggeva in un volantino elettorale in cui campeggiava un simbolo dei Democratici di sinistra. 

 

Nel 2011 toccò all'allora governo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi chiedere di non andare alle urne, in occasione dei quattro referendum su acqua pubblica, energia nucleare e legittimo impedimento. Berlusconi aveva inizialmente lasciato libertà di scelta agli elettori di centrodestra, pur definendo i quesiti «inutili e demagogici». Poi, due giorni prima del voto, annunciò che si sarebbe astenuto, così come molti altri dirigenti del Popolo della Libertà. 

Più di recente, nel 2016, a fare rumore fu l'appello all'astensione lanciato dall'allora premier Matteo Renzi per il referendum sulle trivelle, ossia per il rinnovo delle concessioni per l’estrazione di gas e petrolio in mare. Referendum che Renzi definì «una bufala», citando tra gli altri anche le parole dell'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che si espresse a favore di questa opzione, sostenendo che «non andare a votare è un modo di esprimersi sull’inconsistenza dell’iniziativa referendaria». Una posizione, quella dell'ex premier, che però suscitò polemiche nella minoranza del Pd, il partito di cui Renzi era allora leader, mentre FdI, Lega e M5S invitavano a votare Sì. 

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