Europee, la campagna elettorale è una finestra sul cortile: la sfida Giorgia-Elly, il derby Lega-Fi, quello tra Pd e M5s

Occhi incollati sulle questioni di casa nostra: la sfida giorgia-elly, il derby lega-fi, quello tra pd e m5s

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di Mario Ajello
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Sabato 18 Maggio 2024, 06:29

C’è un libro molto istruttivo, di Roberto Calasso, che s’intitola «L’Ardore». Racconta come l’esistenza di qualcosa che brucia dentro di noi funga da spinta per uscire dall’immobilismo, per creare vita nuova e costruire il futuro. Anche quello delle istituzioni. C’è da chiedersi, allora, se c’è oppure no l’ardore in questa campagna elettorale in cui l’Europa si gioca la sua stessa esistenza perché, come è chiaro a buona parte delle èlites ma non a tutte, o l’Europa cambia o muore. Il fatto è che, nei programmi dei partiti, l’Europa non può non esserci visto che sono programmi per le Europee, ma c’è poca Europa nella comunicazione dei leader, nello scontro tra i partiti, nell’aria di un Paese che si sta avvicinando a un voto cruciale senza coglierne davvero l’importanza, infatti le previsioni di astensionismo elettorale sono alte e se si supera il 50 per cento dei votanti sarà un trionfo.

Più che altro, queste vengono vissute come elezioni di mid-term, tutte rivolte al cortile di casa. Fdi andrà sopra o sotto il 30 per cento, ossia verrà premiata tanto, poco o così così la condotta di governo di Meloni? E saranno sufficienti i voti al Pd per salvare la leadership di Schlein, oppure avremo una riscossa stellata (poco probabile in verità) che darà a Conte lo slancio per proporsi come “federatore” del centrosinistra per le Politiche del 2025? E vince Renzi o Calenda al centro? E il derby Lega-Forza Italia: Tajani supera Salvini o viceversa?

Il mid-term all’italiana non guarda tanto a Bruxelles ma agli equilibri del Palazzo romano. Con l’Europa come pretesto, con l’europeismo che non arde veramente, se non in alcuni partiti. Più che altro quelli di centro, mentre si noterà il paradosso del Pd che si è sempre sentito e anche a buon titolo il testimone italiano dell’idea d’Europa (ieri l’ha celebrata in Campidoglio in un super-evento con Schlein, Gentiloni e gli altri big) e tuttavia stavolta, con le candidature iper-pacifiste e no armi a Kiev modello Marco Tarquinio e Cecilia Strada e la scarsa passione comunicativa sull’Ucraina a parte il generico «cessate il fuoco», sembra in parte attenuare il proprio ardore per non farsi rubare voti dai cinque stelle in format arcobaleno. Addirittura tra i dem c’è chi dice di temere «l’estremismo atlantista» e l’ex direttore di Avvenire, candidato ultra-schleineriano in Italia Centrale e molto appoggiato dai cattolici di sinistra, sostiene che «chiamare resistenza la guerra degli ucraini è una bestemmia». E che cosa dire della Lega che rispolvera l’anti-europeismo (la Ue non tocchi «le case e le auto degli italiani», è lo slogan principale della campagna «Più Italia, meno Europa») e si fa inseguire da destra e da sinistra su questo terreno, perché esiste da più parti l’illusione (o la fondata prospettiva, che si pensava demodè ma forse non lo è) di crescere elettoralmente attaccando l’Europa?

IL CORTILE

Più si riduce l’Europa a scontro politico di cortile e più non si fa un buon servizio ai cittadini che non sono bene informati su quali sono le competenze e le potenzialità delle istituzioni Ue. C’è una ricerca condotta dall’European Council on Foreign Relations, sulla base di sondaggi condotti in 12 Paesi membri della Ue, da cui emerge che il 49 per cento dei cittadini europei è insoddisfatto delle politiche di Bruxelles, il 38 è favorevole e il 13 non si esprime perché non le ritiene percepibili. Un dato, quest’ultimo, che non deve stupire più di tanto: non è molto percepibile l’Europa se per esempio il tema del Pnrr, che dobbiamo all’Europa, sembra sparito dal paesaggio pre-elettorale. E il nuovo Patto di stabilità: chi è costui? Per non dire della necessità di aumentare le spese militari (come ci chiede anche la Nato ed è di assoluto interesse Ue per la difesa comune) di cui c’è traccia nei programmi di alcuni partiti ma sono in pochi, nei comizi o sui media, a parlare apertamente di questo argomento che è ritenuto indigesto per l’opinione pubblica.

IL RUBABANDIERA

Le eccezioni ovviamente ci sono - e si nota un pragmatismo europeista nell’area di mezzo dello schieramento politico tra Tajani, Calenda, Renzi e anche in Meloni e in candidati dem come Zingaretti - ma in ampie porzioni degli schieramenti in gara si tende a confondere le responsabilità della Ue con quelle degli Stati nazionali. Ovvero la prospettiva ottica non sembra ben focalizzata. E c’è tutto un gioco tra leader a sfilare agli alleati i temi considerati più pop e più capaci di produrre consensi. Da qui il duello tra Meloni e Salvini sul piano casa, o la Lega che cerca di prendersi il merito di aver bloccato la sugar tax per toglierlo a Forza Italia e anche Renzi s’infila nella questione sostenendo che fu grazie al suo governo se questa tassa non s’è materializzata. E il Pd che firma, non tutto ma la sua segretaria sì ed eccome, il referendum per l’abolizione del jobs act di cui quel partito era stato artefice, che cos’altro è se non il tentativo di rubare a Conte e ai rosso-verdi le armate Cgil che portano voti? E quanto ha a che fare con Bruxelles (poco) la competizione (è mia! no, è mia!) tra dem e stellati sulla proposta del salario minimo?

Ecco, il richiamo della foresta che prevale sullo sguardo che va oltre il recinto italiano. E non si tratta di recriminare su questo aspetto preminente della campagna elettorale, o di fare moralismo, perché è lecito combattere la lotta politica con le armi e con le strategie ritenute più funzionanti nel momento dato. Il rischio però è quello - se lo scopo è di consolidare il potere dei vari soggetti sia nella maggioranza sia nell’opposizione - del presentismo. Ovvero dello sguardo corto, e un po’ autoreferenziale. Quando invece c’è un mondo in profonda evoluzione - questo il significato delle guerre in corso, questo il senso dell’alleanza tra Cina e Russia, per non dire di come cambierà tutto se in America dovesse vincere a novembre Trump - e il mezzo punto in più o in meno nelle urne rischia di essere una soddisfazione o una delusione storicamente ininfluente.

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