Autonomia, la norma “svuota-Roma” e le risorse extra al Nord: così resuscita la linea dura

Tornano in gioco le bozze di Lombardia e Veneto che erano state archiviate nel 2019

Autonomia, la norma “svuota-Roma” e le risorse extra al Nord: così resuscita la linea dura
di Andrea Bassi
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Mercoledì 4 Gennaio 2023, 21:36 - Ultimo aggiornamento: 5 Gennaio, 11:43

Ricominciare da dove il percorso si era interrotto quattro anni fa. Dalle intese che Veneto e Lombardia avevano già raggiunto con il governo, per poi essere bloccate dalle proteste delle Regioni meridionali e a causa dei pesanti impatti che il progetto delineato in quei documenti avrebbe avuto sulla Capitale. La nuova bozza di legge sull’Autonomia “resuscita” in qualche modo quei vecchi accordi, che ora riemergono come “zombie” nel progetto a tappe serrate che planerà sul tavolo del Consiglio dei ministri nelle prossime settimane. «Le disposizioni della presente legge», spiega l’articolo 11 della nuova bozza sulle autonomie, «si applicano in relazione ai rispettivi livelli di avanzamento formalizzato, anche agli atti di iniziativa delle Regioni presentati al governo e concordati con il medesimo prima della entrata in vigore della presente legge». I vecchi accordi, appunto. Allora forse val la pena rileggere oggi alcuni passaggi di quelle intese contrattate in maniera strettamente riservata tra il ministero degli Affari Regionali e le Regioni “autonomiste” nel 2019 e rivelate per la prima volta proprio dal Messaggero. Come per esempio l’articolo 4 della vecchia intesa del Veneto, quello che potrebbe essere definito come il “comma svuota-Roma”. «Il trasferimento dei beni e delle risorse comporta», si leggeva in quel testo, «la contestuale soppressione o il ridimensionamento, in rapporto a eventuali compiti residui, dell’amministrazione statale periferica». Non solo. «Sono altresì ridimensionate in rapporto ai compiti residui», spiegava ancora, «le amministrazioni centrali in proporzione alle funzioni trasferite». Tradotto: se trasferisco a Veneto e Lombardia la gestione di 200 mila insegnanti, dovrò tagliare il ministero dell’Istruzione che dovrà gestire il 20 per cento in meno di professori. 

Il punto però è anche un altro.

Tutta la partita fondamentale delle risorse umane e finanziarie da trasferire è affidata, oggi come nel 2019, alle intese che a loro volta la rimandano ad una “commissione paritetica” tra lo Stato e la Regione. Aspetti delicatissimi che riguardano persone e tasse, vengono discussi a un livello tecnico, da nove esperti scelti dallo Stato e nove scelti dalla Regione interessata. Questo concetto è ribadito nella nuova bozza di legge sulle autonomie all’articolo 6. «Le risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie per l’esercizio da parte delle Regioni di ulteriori forme e condizioni di autonomia», dice la nuova bozza, «sono determinate da una Commissione tecnica paritetica Stato-Regione disciplinata dall’intesa». C’è di più. L’intesa tra Stato e Regione potrà derogare la stessa legge sull’Autonomia. Di controsensi simili il testo è pieno. Il punto è che questa contraddizione riguarda il passaggio più controverso di tutto l’impianto autonomista disegnato dalla nuova legge: i soldi da trasferire dallo Stato alle Regioni. Fino a quando non saranno definiti i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale, spiega l’articolo 4 della nuova bozza, le risorse necessarie alla Regione per gestire ciascuna materia saranno determinate in base al criterio della spesa destinata a carattere permanente e fissa sostenuta dallo Stato nella Regione. In pratica la spesa storica. Ma, ed è il passaggio più importante, «sono fatte salve le diverse previsioni contenute in ciascuna intesa». Che significa? Che sui soldi l’intesa tra Stato e Regioni può decidere quello che gli pare a prescindere da quello che dice la legge sull’Autonomia. 

I PASSAGGI
E allora, ancora una volta, val la pena guardare cosa c’è scritto negli “accordi-zombie”. Per esempio, sempre nel caso del Veneto, che le risorse assegnate non possono essere «inferiori al valore medio nazionale pro-capite della spesa per l’esercizio delle stesse». Prendiamo la funzione istruzione. Secondo i dati presentati dalla Sose in un’audizione in Parlamento sul federalismo, la spesa storica pro-capite in Veneto è di 69 euro circa, quella media nazionale pro-capite di 78 euro. Se il criterio fosse questo, il Veneto otterrebbe 10 euro in più per abitante rispetto a quanto storicamente speso nel territorio. Ma c’è di più. Sempre la vecchia intesa prevedeva chiaramente che «l’eventuale variazione di gettito maturato nel territorio della Regione» sarebbe stato «di competenza della Regione» stessa. È la vecchia battaglia nordista del residuo fiscale. L’unico debole scudo posto dalla nuova legge sull’Autonomia, è una verifica annuale sui profili finanziari dell’intesa. Ma si tratta di una verifica ancora una volta assegnata alla Commissione paritetica e non, per esempio, al ministero dell’Economia. Infine, c’è un altro nodo che non sembra sciolto. Se in futuro lo Stato dovesse trovarsi in difficoltà e decidere una manovra con tagli e spending review su materie trasferite come la Sanità o l’istruzione, le Regioni che hanno ottenuto autonomia parteciperebbero? L’articolo 8 della nuova bozza di legge prevede che «le disposizioni statali successive alla data di entrata in vigore delle leggi di approvazione di intese, osservano le competenze legislative e l’assegnazione delle funzioni amministrative e le ulteriori disposizioni contenute nelle intese». Il dubbio, insomma, resta. 


 

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