Il bluff Autonomia: subito soldi al Nord, il Sud può attendere. Le contraddizioni della bozza Calderoli

La nuova bozza di Calderoli: percorso a tappe forzate per Veneto e Lombardia

Il bluff Autonomia: subito soldi al Nord, il Sud può attendere. Le contraddizioni della bozza Calderoli
di Andrea Bassi
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Sabato 31 Dicembre 2022, 00:36 - Ultimo aggiornamento: 13:37

Qualche passata di cipria. Un fiocchetto qua e là. Una strizzatina d’occhio. Ma grattando la superficie dell’ultima bozza del disegno di legge sull’autonomia differenziata trasmesso dal ministro Roberto Calderoli, riemerge il consueto schema: subito, in tempi strettissimi, competenze e risorse alle ricche Regioni del Nord, con calma e quando si troveranno i soldi (e se si troveranno) si consentirà ai cittadini che risiedono negli altri territori, soprattutto quelli meridionali, di poter avere scuola, sanità, trasporti a un livello accettabile. Una fretta certificata anche dal fatto che lo schema riporta in vita le vecchie intese, quelle del 2018, che saranno come prevede l’articolo 11 della bozza, il punto di partenza dell’autonomia. Ma procediamo con ordine. 
Calderoli ha trasmesso a Palazzo Chigi un disegno di legge in 11 articoli. La “cornice” entro la quale lo Stato e le Regioni che chiedono autonomia dovranno “disegnare” le loro intese. Un’autonomia, come detto, a tappe forzate. E sostanzialmente consegnata a due attori principali: il ministro per gli Affari Regionali (Calderoli) e gli stessi presidenti di Regione che chiedono l’autonomia (Luca Zaia del Veneto e Attilio Fontana della Lombardia). Tutti gli altri, dal Parlamento, alla Conferenza delle Regioni, al ministero dell’Economia, sono relegati a ruolo di comparse. Ogni 30 giorni, in base alla bozza, l’autonomia dovrà fare un passo avanti. Primo passo: le Regioni trasmettono la richiesta al governo. A questo punto il ministero dell’Economia avrà 30 giorni per individuare le risorse finanziarie da assegnare alle Regioni. Passati questi 30 giorni il presidente del Consiglio o il ministro degli Affari Regionali avvieranno la trattativa. Una volta scritta, l’intesa va trasmessa alla Conferenza unificata che ha, di nuovo, 30 giorni per dare un parere. Ottenuto il parere la palla passerà alla Commissione parlamentare per le questioni regionali: altri 30 giorni per esaminare il testo ed esprimere un giudizio sempre non vincolante. A questo punto si passerà all’intesa definitiva, che potrà tenere conto o meno dei vari pareri. Una volta siglata, l’intesa andrà trasmessa al consiglio dei ministri che, ancora una volta, avrà 30 giorni per deliberare un disegno di legge di approvazione da trasmettere alle Camere. Che a quel punto potranno solo prendere o lasciare senza poter modificare nulla. In meno di un anno le ricche Regioni del Nord potranno avere risorse, uomini e competenze oggi gestite da Roma. Ma che ne sarà degli altri territori? Qui c’è la prima grande contraddizione della riforma Calderoli. 

La bozza della legge quadro promette i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni.

Quei livelli minimi di servizi che dovrebbero essere garantiti ad ogni cittadino. L’autonomia, si legge nella bozza, non potrà partire fino a quando i Lep non saranno «determinati». Attenzione, perché le parole sono importanti. Non si dice «garantiti», ma solo determinati. Prendiamo l’istruzione, una delle materie più delicate. Al Sud nella scuola primaria un bambino su tre non ha il servizio di mensa, il 66 per cento degli alunni non ha la palestra, solo il 18 per cento ha a disposizione il tempo pieno (contro il 48 per cento del Nord). Se i Lep dovranno colmare questi divari, ci sarà bisogno di soldi. E molti. La bozza Calderoli rimanda il loro finanziamento alle future leggi di Bilancio. Una speranza più che una promessa, tra l’altro in contraddizione con l’attuale manovra che invece dice che i Lep vanno determinati senza oneri per lo Stato. 

Comunque sia, il rinvio alle leggi di Bilancio non è garanzia di copertura certa. Anche perché rimane il fatto che i Lep saranno determinati dai tecnici (una cabina di regia) e approvati per via amministrativa (dei Dpcm che non hanno bisogno di copertura e che non sono modificabili dal Parlamento e nemmeno impugnabili in Corte Costituzionale). 

IL PASSAGGIO

Insomma, mentre l’autonomia arriverà subito, per quanto riguarda il finanziamento di diritti uguali per tutti i cittadini a prescindere da dove vivono bisognerà fidarsi che il governo riesca a trovare risorse in manovra tra una riforma del Fisco e un aumento delle pensioni. L’altra grande contraddizione è che la vera partita, quella dei soldi e delle risorse, continuerà ad essere giocata lontano da occhi indiscreti. Le intese (quelle negoziate tra il ministero degli Affari regionali e i presidenti di Regione) dovranno stabilire le regole di ingaggio di una Commissione paritetica tra lo Stato e la Regione che determinerà tutti questi aspetti fondamentali. La bozza prevede però che le risorse arrivino da compartecipazioni ai tributi maturati nel territorio regionale o riserve di aliquote. E fino a che non saranno determinati i fabbisogni e i costi standard legati ai Lep, si partirà comunque con la spesa storica. Le Regioni del Nord, insomma, potranno “tenersi” quanto speso dallo Stato nel territorio per quei servizi. E storicamente è di più di quanto speso nelle Regioni meridionali. Viene anche stabilito che le intese «non possono pregiudicare le risorse destinate ad altre Regioni», un’affermazione generica che rischia di ribaltare sullo Stato eventuali costi. Ma come detto, la bozza Calderoli “resuscita” le vecchie intese del 2018, quelle ribattezzate «spacca-Italia». Come nel gioco dell’Oca si torna sempre alla casella di partenza.

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