Padoan: «Anche io da ministro proposi l'incremento, allora fui fermato. Stavolta non c'è alternativa»

Padoan: «Anche io da ministro proposi l'incremento, allora fui fermato. Stavolta non c'è alternativa»
di Andrea Bassi
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Giovedì 28 Febbraio 2019, 07:44 - Ultimo aggiornamento: 19:09
Onorevole Pier Carlo Padoan, del possibile aumento dell'Iva si parla periodicamente. Anche se il titolare dell'Economia Giovanni Tria ieri ha detto di non voler alzare le aliquote, il tema resta in agenda. Anche lei dovette affrontarlo a quando era ministro dell'Economia.

«È un'idea ricorrente, che in gergo si chiama svalutazione interna. In questo modo aumento i prezzi dei beni importati, e siccome dall'aumento Iva di solito si escludono i beni esportati, c'è un effetto di aumento di competitività».

Ma se l'aumento dell'Iva ha effetti positivi, perché lei quando era ministro non lo ha fatto?
«Perché come lei ben sa, quando si parla di questo tema i primi a protestare sono le associazioni dei commercianti. La loro tesi è che se si aumenta l'Iva i prezzi dei beni aumentano e la domanda diminuisce e, alla fine, a rimetterci sono soprattutto loro».

E non è così?
«Non è scontato, anzi l'Ocse sostiene che l'effetto è comunque limitato. C'è anche un ulteriore elemento che militerebbe a favore di questa misura».

Quale?
«L'Italia ha un'inflazione ancora troppo bassa. Se si passasse dall'1% al 2%, dunque con un aumento contenuto dei prezzi e sempre nei limiti della Bce, la crescita nominale aumenterebbe e il debito pubblico rispetto al Pil si ridurrebbe».

Le rifaccio la domanda, perché allora lei non lo ha fatto quando era ministro?
«Premesso che ne abbiamo a lungo discusso con i presidenti del consiglio con cui ho lavorato, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, l'obiezione che veniva fatta alla mia proposta è che si trattava di un aumento delle tasse che colpiva i redditi dei cittadini. È sotto altra forma la stessa cosa che dicono i commercianti».

Insomma, una scelta tecnicamente consigliabile ma politicamente complicata, giusto?
«Sì. Ma vorrei dire un'altra cosa».

La dica.
«Stiamo guardando solo un lato del problema. C'è un altro pezzo importante, quello che riguarda la finanza pubblica».

Le famose clausole di salvaguardia. Il governo Conte dice che sono una vostra eredità.
«Il problema delle clausole non è nuovo. Sono state introdotte dal governo Letta e confermate, seppur in maniera ridotta, dai governi Renzi e Gentiloni. Quello che questo governo ha fatto è invece aumentare le clausole sensibilmente, portandole a 23 miliardi per il 2020 e a quasi 29 miliardi per l'anno successivo. Il tema dell'aumento Iva è necessariamente collegato al disinnesco di queste clausole».

Non ci possono essere altre strade?
«Bisogna trovare 23 miliardi. O si tagliano le spese o si aumentano le imposte. La domanda che credo si stia ponendo il governo è la seguente: mi conviene tagliare delle spese, aumentare altre imposte oppure agire in qualche modo sull'Iva? Ed è bene anche che trovino una risposta rapida a questa domanda».

Perché?
«Vede, la finanza pubblica è su una china pericolosa. La dinamica, come dicono gli esperti, è esplosiva. Gli squilibri aumentano invece di diminuire, il debito rischia di tornare a crescere e questo comporterebbe effetti sullo spread con le conseguenze che tutti sappiamo».

Che conseguenze?
«Lo sanno tutti. Nei consessi internazionali il tema di una ristrutturazione del debito italiano è al centro del dibattito. Viene considerato un male necessario».

Non le sembra eccessivo? Il governo da mesi rassicura gli investitori sulla sostenibilità del debito.
«Se le clausole non vengono fatte scattare e non ci sono altre misure, il deficit supererà il 3% e lo spread salirà ben oltre dove si collocava qualche mese fa. La situazione si avviterebbe. La settimana scorsa sono stato ad un convegno del Ceps a Bruxelles e i commentatori olandesi, francesi, tedeschi, delineavano questo scenario».

Come si evita l'avvitamento?
«Va aumentato il surplus primario anche con un aumento parziale dell'Iva, e va spinta la crescita. Questo governo ha promesso investimenti pubblici. Fino a oggi non si è visto nulla. I soldi ci sono, li spendano».
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