Mamma morta nel rogo dopo la lite in casa, l'ultima foto al compagno: «Ti brucio i vestiti»

L'abitazione dove è morta la donna
di Marina Lucchin
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Domenica 3 Aprile 2022, 09:34 - Ultimo aggiornamento: 09:39

PADOVA - Un’ora prima del rogo che ha ucciso C.T., la mamma 35enne di Ponte San Nicolò morta venerdì 1 aprile nella sua abitazione di via Firenze, la donna ha avuto una furiosa litigata con il compagno, le cui urla sono riecheggiate in tutto il palazzo. Poi ha fatto una chiamata all’assistente sociale per cercare di avere un po’ di conforto. E infine ha contattato due, tre, quattro - e forse più - volte, al telefono il fidanzato che stava andando al lavoro, per tentare di ricucire quello strappo avvenuto prima che lui uscisse di casa.
È stato a quel punto che la giovane donna, annebbiata dall’alcol e forse da qualche altra sostanza che usava per curare la depressione che la affliggeva ormai da anni, ha deciso di mettere in scena un dispetto per “vendicarsi” del suo uomo. Vendetta che, però, come un boomerang, le si è ritorta contro, trasformandola nell’unica vittima di un gesto insensato quanto disperato. 

LA DINAMICA
È stata proprio la donna, infatti, ad appiccare il rogo nel suo appartamento: ha preso i vestiti del fidanzato, riposti in uno di quei contenitori di plastica che consentono di riporlo ordinatamente nell’armadio, li ha appoggiati sul letto e poi ci ha dato fuoco. A quel punto ha scattato una foto del falò e l’ha inviata al fidanzato, forse un tentativo disperato per farlo tornare a casa. Ma la situazione le è ben presto sfuggita di mano. Rallentata dalle sostanze che aveva assunto, non si è subito accorta che il fuoco stava divorando ben più dei vestiti contenuti nella scatola. E quando le fiamme hanno iniziato a distruggere la plastica, si è sprigionato un fumo nero e tossico che non le ha consentito di mettersi in salvo, nonostante nella sua fuga disperata fosse riuscita ad arrivare fin quasi alla porta di casa. Due passi in più, la mano sulla maniglia e sarebbe uscita da quell’inferno di fiamme e fumo che l’hanno uccisa. 
È questa la ricostruzione di quanto avvenuto venerdì nel primo pomeriggio in quell’appartamento di via Firenze, fatta dai carabinieri coordinati nelle indagini dal sostituto procuratore Sergio Dini. L’autopsia, che è stata disposta per i primi giorni della prossima settimana e affidata al dottor Antonello Cirnelli, chiarirà definitivamente in che condizioni psicofisiche si trovasse la vittima dell’incidente. Ma, intanto, le dichiarazioni dell’assistente sociale, del convivente 46enne e i primi rilievi eseguiti dai tecnici dei vigili del fuoco e da quelli della squadra scientifica del comando provinciale dell’Arma, hanno potuto fornire un quadro che ha chiarito la dinamica della morte della giovane mamma. 

LE TESTIMONIANZE
«Io l’amavo, volevo solo che stesse meglio, ma l’ho vista bere» avrebbe dichiarato agli inquirenti il fidanzato della 35enne. I vicini di casa, infatti, avevano sentito le urla della coppia, con lui che le inveiva contro perchè la donna stava bevendo un alcolico di prima mattina, dopo la visita dall’assistente sociale. Poi l’uomo è uscito e nemmeno un’ora dopo la dirimpettaia della vittima ha allertato il 115 vedendo uscire del fumo dalle fessure della porta d’ingresso del suo appartamento. 
Inizialmente si era temuto che il fidanzato avesse potuto avere qualche responsabilità nella morte della donna, visto il litigio e poi la sua uscita repentina dall’appartamento, ma in realtà l’uomo si stava dirigendo verso all’Eni di Fossò, nel Veneziano, ed era totalmente inconsapevole della triste fine della compagna. 
«Abbiamo perso un bambino un anno fa e dopo quella notizia non è più stata lei» avrebbe ammesso. Un fatto che ha aggravato la condizione psicologica della 35enne, già provata, come il padre, per la morte della madre. Motivo per cui si era conclusa anche la relazione con il suo ex, il padre dei suoi due bambini, che sono stati affidati all’uomo proprio per via della depressione che affliggeva la madre che poteva vederli a suo piacimento, ma sempre con qualcuno che la “sorvegliasse”. E questo era anche il motivo per cui la donna era stata presa in carico dai servizi sociali del Comune, che tentavano di sollevarla da quel peso che portava nell’animo e che alla fine ha preso il sopravvento, rendendola vittima di se stessa, della sua “ripicca” che a posteriori somiglia a un ultimo disperato tentativo di richiamare l’attenzione su di lei e sul suo dolore. «Spero solo che ora abbia trovato la pace, quella che non ha mai avuto quaggiù» si augura un’amica, guardando quegli occhi tristi in foto.
 

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