Szymon Szynkowski vel Sęk: «Cambiare i trattati Ue? Si tenga conto della voce di tutti»

Il nodo delle decisioni a maggioranza e le possibili conseguenze per alcuni Paesi europei

Il ministro degli Esteri polacco Szymon Szynkowski vel Sęk
di Szymon Szynkowski vel Sęk*
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Giovedì 7 Dicembre 2023, 13:23

Il 22 novembre il Parlamento europeo ha adottato il rapporto della Commissione per gli affari costituzionali e la risoluzione che lo accompagna con le proposte di modifica dei Trattati UE. La relazione è stata adottata con 305 voti a favore, 276 contrari e 29 astensioni. Nella votazione sulla risoluzione, 291 eurodeputati si sono espressi a favore, 274 contro e 44 si sono astenuti. Le principali modifiche proposte riguardano l'abbandono del voto all'unanimità in seno al Consiglio dell'UE in 65 aree e il trasferimento di competenze dagli Stati membri al livello dell'UE, oltre a una significativa estensione delle competenze condivise. Le cinque fazioni responsabili del rapporto (PPE, socialdemocratici, liberali, verdi e sinistra comunista) hanno preparato in tutto oltre 250 proposte di modifica dei trattati. Esse riguardano tutte le fondamentali sfere d'azione dell'UE, tra cui politica estera, di sicurezza e di difesa, mercato unico, economia e bilancio, politiche sociali e del mercato del lavoro, istruzione, clima e ambiente, politica energetica migrazione e salute.

Le proposte di modifica dei Trattati avanzate dal Parlamento europeo hanno sconvolto l'opinione pubblica polacca e di molti paesi della Comunità. Il Parlamento lancia l'iniziativa di una profonda riforma interna dell'Unione nel momento in cui al di là del nostro confine orientale abbiamo a che fare con l'ennesima tragica manifestazione dell'imperialismo russo, una guerra sistemica che ha causato enormi perdite di vite umane e distruzione. Il conflitto israelo-palestinese è entrato in una nuova fase calda, è in corso la crisi migratoria. Di fronte a questi drammi, l'Unione ha bisogno di stabilità e coesione interna. Tuttavia, il Parlamento europeo propone cambiamenti che non rafforzano l'Unione. Al contrario, diminuiscono le competenze degli Stati membri in settori quali, tra l’altro, la politica estera e di sicurezza e quindi minano il carattere comunitario della cooperazione europea. In questo modo, portano di fatto a un indebolimento dell'Unione e a un'ulteriore diminuzione del suo ruolo sulla scena internazionale. In una situazione di minaccia imminente alla sicurezza europea, il ruolo degli Stati nazionali rimane indispensabile sia per la diagnosi dei problemi che per l'individuazione delle contromisure. In momenti cruciali come questo, vale la pena ricordare fatti fondamentali: la Comunità europea è stata istituita come un'unione di Stati cooperanti, ma allo stesso tempo separati, uguali, sovrani e liberi. In parole povere, la progressiva centralizzazione non è la risposta giusta alle sfide del presente. Inoltre, le proposte relative alla politica europea di sicurezza e difesa rischiano di minare l'unità transatlantica e la coesione della NATO. 

Il nodo dei cambiamenti
I cambiamenti proposti sono meglio illustrati da esempi: dobbiamo accettare un'Unione che deciderà a maggioranza la direzione da tenere nelle relazioni con la Russia nonostante il parere diverso della Polonia e degli Stati baltici? Un'Unione che, con le stesse modalità, potrà prendere decisioni che contraddicono, ad esempio, lo storico status di neutralità dell'Austria? Le questioni di politica migratoria, estremamente delicate per la stabilità e la sicurezza degli Stati, possono essere decise a maggioranza senza tenere conto dell'ampio spettro di opinioni di tutti gli Stati membri?

È incomprensibile e inaccettabile che i cittadini della Polonia o degli Stati baltici debbano perdere la loro voce nel definire il proprio mix energetico. Immaginate le conseguenze di decisioni simili nei giorni precedenti l'aggressione russa all'Ucraina, quando la Russia stava di fatto rendendo i consumatori europei dipendenti dall'approvvigionamento delle proprie materie prime. Sono state le voci e le pressioni degli Stati membri a imporre soluzioni che oggi servono all'indipendenza e alla sicurezza energetica dell'intera Unione. Comprendiamo la diversità di opinioni riguardo all'energia nucleare. Allo stesso tempo crediamo che le decisioni su questo tema debbano essere prese a Parigi o a Varsavia piuttosto che a Bruxelles o... tra i capi delle società di lobbying. Siamo davvero favorevoli a limitare le competenze degli Stati responsabili della sicurezza delle frontiere esterne dell'Unione? Pensiamo alle conseguenze di tali decisioni quando Russia e Bielorussia utilizzano costantemente gli immigrati per destabilizzare i nostri confini. Assumere da parte degli organi dell'Unione il diritto di decidere chi attraversa le nostre frontiere andrebbe contro l'attuale status giuridico di molti Stati membri. Azzarderei anche l'ipotesi che sarebbe anche una sfida al buon senso. Allo stesso modo, dovrebbero essere valutate le proposte che mettono gli Stati membri nella condizione di decidere di assumere immigrati senza discussione e senza il diritto di opporsi.

Le possibili conseguenze
Sono particolarmente sconvolgenti le conseguenze dell'abolizione del diritto di veto per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia di famiglia transfrontaliera. La conseguenza dei regolamenti proposti sarebbe che i bambini nati da matrimoni misti potrebbero essere portati via da un Paese senza il consenso delle autorità nazionali.

Mettere la sicurezza dei bambini sull'altare di proposte assurde non è nello spirito delle idee alla base dell'integrazione europea. I polacchi, come tutti i cittadini degli Stati membri della Comunità, hanno molte ragioni per aspettarsi un miglioramento del funzionamento dell'Unione europea, sia a livello interno che esterno. Tuttavia, tale miglioramento si potrà ottenere trasferendo a livello comunitario parte delle decisioni nella sfera dell'istruzione o dell'assistenza sanitaria? L'impossibilità di prendersi cura della sicurezza e del benessere dei propri cittadini in questi settori è per la Polonia inaccettabile.

Un'Unione con un processo decisionale a maggioranza in così tanti settori non sarà più un'Unione di uguali. L'opinione degli Stati più piccoli sarà irrilevante. Il fatto di trascurare le posizioni di alcuni Stati porterà inevitabilmente a un aumento dell'euroscetticismo nel continente. Oggi il diritto di veto garantisce la sovranità di tutti gli Stati membri, proteggendoli dai tentativi di influenzare le loro regole interne contro la loro volontà. Le conseguenze della rinuncia a questo privilegio sono facilmente prevedibili. Chi propone una riforma dell'Unione deve tenere conto del fatto che le sue azioni porteranno i cittadini ad allontanarsi dalla Comunità. Infatti, i cambiamenti si ripercuoteranno sull'incapacità dei loro governi di esercitare un potere effettivo. Sempre più voci si leveranno a favore dell'uscita dall'Unione e sempre più spesso questa posizione sarà espressa da politici di spicco insoddisfatti dell'impotenza. È questo che vogliamo? 

Il "no" alle modifiche
Probabilmente è per questo che, secondo un sondaggio indipendente, la maggioranza dei polacchi non vuole modifiche ai Trattati UE. Dopo tutto, se vogliamo che l'Unione diventi più forte, deve avere un forte mandato sociale. Sono quindi convinto che le riforme proposte siano un segno di miopia e che avranno l'effetto opposto a quello desiderato: indeboliranno la coesione dell'Unione e la sua legittimità politica. Non siamo inoltre d'accordo con l'argomentazione dei sostenitori del cambiamento secondo cui l'Europa deve sottoporsi a una ricostruzione istituzionale per essere in grado di agire in modo rapido ed efficace. Ricordiamoci che la regola dell'unanimità non ha finora impedito all'UE di prendere decisioni rapide ed efficaci in risposta alle recenti crisi. 

La vasta riforma di vasta dei trattati non è neanche necessaria per il  previsto allargamento dell'Unione. L'adesione di nuovi membri richiederà ovviamente un adeguamento delle regole relative alla loro rappresentanza nelle istituzioni dell'UE. Ma per modifiche così ampie come quelle proposte nella risoluzione del PE, l'allargamento non è una giustificazione credibile, al massimo un pretesto discutibile.

Aprire la discussione
Allo stesso tempo, sono convinto che sia necessario un dibattito sul miglioramento del funzionamento dell'Unione. Ci sono aree in cui il rafforzamento della cooperazione è nell'interesse di tutti i Paesi, compresa la Polonia.  Lo abbiamo visto durante la pandemia di Covid-19. Tuttavia, ciò non richiede una modifica dei trattati. Invece di aprire un dibattito sui Trattati, sarà più opportuno lavorare sulle riforme delle politiche settoriali. A questo proposito, infatti, il previsto allargamento dell'Unione ad altri Paesi - come l'Ucraina - renderà necessaria, ad esempio, una discussione sulla forma della Politica agricola comune. Una discussione che produca soluzioni consensuali, piuttosto che soluzioni imposte a una minoranza da una maggioranza, seppur qualificata. La Polonia, come qualsiasi altro Paese, deve far sentire la propria voce su questo tema, che non sia ignorata.

Diritti e doveri
Negli ultimi giorni ho avuto incontri in diverse capitali europee. So che le nostre argomentazioni sono condivise da molti dei nostri partner. Non è vero che tutti gli Stati membri vogliono le riforme e solo la Polonia si oppone. Non è così. Preoccupazioni, voci di critica e di opposizione si levano non solo a Varsavia, ma anche a Praga, Vilnius o Riga, anche se le loro ragioni non sono sempre ascoltate dai media. È chiaro che sono guidato dalla preoccupazione per la ragione di stato polacca, ma sono importanti per me anche l'unità e la coesione dell'Unione europea. L'opposizione alla modifica dei Trattati non può essere equiparata all'avversione per l'Unione. Al contrario, è un'espressione di sostegno all'Unione di oggi - forse non ideale, ma che garantisce l'uguaglianza tra i suoi membri. La Polonia, come qualsiasi altro partecipante a una comunità di 27 Stati, ha il diritto, e persino il dovere, di esprimere la propria opinione sulla direzione in cui sta andando l'Unione europea.

*Ministro degli Affari Esteri della Repubblica di Polonia

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