Marco Zennaro, l'imprenditore arrestato in Sudan. Il fratello: «Chiuso in una cella, rischia la morte»

Marco Zennaro, l'imprenditore arrestato in Sudan. Il fratello: «Chiuso in una cella, rischia la morte»
di Valeria Arnaldi
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Domenica 30 Maggio 2021, 07:40 - Ultimo aggiornamento: 19 Febbraio, 12:03

Era metà marzo quando Marco Zennaro, 46 anni, sposato e padre di tre bambini, ha lasciato Venezia per risolvere una controversia commerciale a Khartum, in Sudan. Sembrava un normale viaggio di lavoro, ma, appena arrivato, è stato arrestato. Dopo due settimane in una stanza d'albergo presidiata da uomini armati, nonostante gli accordi che sembravano aver chiuso la questione, il primo aprile scorso Zennaro, mentre era all'aeroporto per tornare in Italia, è stato arrestato per un'altra denuncia, di un uomo potente, e trasferito in cella. Non solo.

L'imprenditore con cui si era accordato, nei giorni scorsi è stato trovato morto.

Domani, la Farnesina invierà a Khartum Luigi Vignali, direttore generale per gli Italiani all'estero e le politiche migratorie.

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Abbiamo raggiunto Alvise Zennaro, fratello dell'imprenditore.
Come sta suo fratello?
«È profondamente provato, fisicamente e psicologicamente. Lo stato di detenzione è agghiacciante. Sta in uno stanzone con trenta persone. Non ci sono letti o brande, né una sedia. Deve dormire sul pavimento. C'è un solo bagno. Per lavarsi usano secchi. In quella stanza ci sono 45 gradi, il caldo è infernale. Non c'è l'ora d'aria: se vuole camminare può farlo solo in quello stanzone e, visto l'affollamento, fa pochi passi. Ha dolori alla schiena, al collo, alle gambe. Le misure anti-Covid non esistono. Ha avuto, per un paio di giorni, la febbre a 39. Abbiamo cercato di farlo trasferire in ospedale ma lo hanno tenuto in cella. Fortunatamente la febbre è passata».
Ha ricevuto minacce?
«Qualche guardia gli ha detto Regeni, Regeni, paga! e ci sono allusioni di questo tipo. Non si capisce se sia una battuta di cattivo gusto o una vera minaccia. Sentirselo dire fa paura. E la fa anche a noi che siamo qui, nonostante la dinamica sia diversa. Regeni era sparito, noi abbiamo indirettamente notizie di Marco ogni giorno. Le visite consolari sono periodiche. Riceve cibo, ma non mangia granché, poi acqua e il necessario».
Come è iniziato questo incubo?
«Un distributore locale, Gallabi, con cui Marco aveva rapporti di lavoro, lo ha contattato per partecipare insieme a un bando per fornire trasformatori elettrici alla società Sedec. Gallabi ha vinto il bando, mio fratello ha fornito i trasformatori. La Sedec li ha fatti testare, ma non da un organo indipendente, bensì nel laboratorio di un concorrente. Gallabi ha detto che dei valori non tornavano e Marco è andato a Khartum, dove però ha trovato un mandato di arresto. Gli è stato sequestrato il passaporto, guardie presidiavano la sua stanza».
E ha pagato a Gallabi 400mila euro.
«Dopo due settimane, solo per uscire da quella terribile situazione. Aveva capito la gravità appena aveva visto le guardie: aveva paura. Presi i soldi, Gallabi ha ritirato la denuncia e Marco è andato all'aeroporto, qui miliziani armati lo hanno prelevato e portato in Commissariato. Si è scoperto che Gallabi si era fatto prestare i soldi per i trasformatori e il finanziatore, Abdallah Ahamed, che ci risulta vicino al generale Mohamed Hamdan Dagalo, senza titolo, li vuole da Marco e lui è stato arrestato di nuovo».


Come si sta difendendo?
«Ha presentato appello tramite un avvocato locale. Intanto, è stato lasciato in cella. Sono state istituite commissioni per valutare il caso. Si voleva sentire Gallabi, ma è stato trovato morto. Il 26 maggio scorso è arrivata la sentenza, con cui è stato disposto l'immediato rilascio di Marco: è uscito ma mentre era sulla macchina con i poliziotti, questi sono stati chiamati e lo hanno riportato dentro. Perché? I miliziani si sono detti insoddisfatti della sentenza».
Cosa farete?
«Confidiamo nella Farnesina. Sappiamo che Di Maio dovrebbe andare in Sudan a metà giugno e speriamo nella partenza di Vignali. Restiamo cauti, però. Il giorno in cui Marco era all'aeroporto, avevamo festeggiato. Aveva chiamato, dicendo che stava per partire. Il volo era intorno alle 18. Quando abbiamo capito che doveva fermarsi ancora, pensavamo per poco, volevamo prenotare il volo seguente, invece È stato l'ambasciatore, il giorno dopo, a spiegarci l'accaduto. Ci è crollato di nuovo il mondo addosso».
Come state vivendo queste ore?
«Siamo tutti sconvolti. I figli hanno 11, 10 e 4 anni. I più grandi sanno cosa sta accadendo al papà. Fortunatamente, la comunità si è stretta intorno a noi. Domenica (oggi) ci sarà un corteo acquatico. In alcuni momenti Marco stava perdendo la speranza ma è un combattente, non molla. Nessuno deve mollare ora e nessuno lo farà».
 

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