Haiti, il Paese più povero dell'America Latina, è praticamente all'ultima spiaggia. La grave crisi apertasi il 7 luglio 2021, quando il presidente Jovenel Moise fu ucciso nella sua camera da letto a Port au Prince, è maturata negli anni fino a diventare ora un ingestibile caos. Dopo le tensioni provocate durante lo scorso fine settimana da commando armati che hanno assaltato due prigioni della capitale liberando migliaia di detenuti e cercando di catturare l'aeroporto internazionale Toussaint Louverture, il governo ha decretato 72 ore di stato di emergenza e coprifuoco, rimasti praticamente sulla carta. L'Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani, Volker Türk, ha dichiarato che la situazione ad Haiti «è davvero insopportabile per il popolo haitiano», evidenziando che dall'inizio del 2024 i morti sono già 1.193.
L'emergenza
L'emergenza istituzionale è totale, al punto che il primo ministro Ariel Henry, reduce da un viaggio in Kenya per la costituzione della Missione multinazionale (Mmas) approvata dall'Onu, e da colloqui negli Stati Uniti, è di fatto costretto ad un esilio forzato non essendo potuto rientrare in patria con il suo aereo privato. Si trova a Porto Rico, o forse, in Giamaica. Per di più, secondo fonti giornalistiche, il premier ha ricevuto in volo la notizia che gli Usa gli consigliavano di dimettersi per permettere l'avvio di un processo di transizione. Dal 2016 ad Haiti non si celebrano più elezioni, per cui non ci sono presidente, Parlamento, governo e premier legittimi, e neppure una Corte Suprema funzionante. Vari centri urbani, ma soprattutto la capitale, sono quotidianamente preda delle scorribande di gruppi armati che assaltano gli edifici pubblici, si scontrano con la polizia, sequestrano, violentano e uccidono, generando terrore nella popolazione che emigra dalle città verso regioni più sicure.
La polizia non riesce a contrastare tale criminalità, e si concentra nella difesa di edifici e infrastrutture considerate strategiche.