Il Velázquez di Montanari e il Novecento di Sgarbi: due modi diversi di intendere il potere culturale

Il Velázquez di Montanari e il Novecento di Sgarbi: due modi diversi di intendere il potere culturale
di Pasquale Chessa
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Domenica 27 Gennaio 2019, 09:56
La magia della Toilette di Venere che ti guarda dallo specchio mentre mostra per l'eternità l'armonia delle sue terga, il più bel fondoschiena della storia dell'arte, sarebbe stata suggerita a Velázquez e quindi copiata dall'Ermafrodito della Galleria Borghese, il famoso marmo ellenistico restaurato da Bernini. Sarà!
L'ipotesi è rilanciata da Tomaso Montanari nel coloratissimo libro dedicato a Velázquez e il ritratto barocco pubblicato nella prestigiosa collana dei Saggi Einaudi. Che non tiene conto del fatto che l'Ermafrodito era stato più appropriatamente copiato un secolo prima da Michelangelo per rappresentare l'ambigua figura ignuda dell'angelo che scivola sulla nuvola a destra del Cristo nella Cappella Paolina. Sarà perché Montanari è un connoisseur di Gian Lorenzo Bernini, a cui ha dedicato un catalogo e un saggio che, insieme a uno studio sulle fonti storiche dell'Età barocca, rappresentano il corpus delle sue pubblicazioni scientifiche. Pochi titoli, rispetto al nutrito numero di pamphlet, quasi una decina, che si propongono di rifondare la sinistra intesa come «custodia del creato e dell'ambiente», nel più radicale dei modi possibili. Un vasto programma, incompiuto, che risuona in tutta la sua utopica prepotenza nei titoli più ricercati dai seguaci del risentimento rivoluzionario che affollano le piazze del «web psicopolitico», siano i multiformi transfughi del Pd che la varia sinistra dei Cinquestelle: dal minaccioso Le pietre e il popolo. Restituire ai cittadini l'arte e la storia delle città italiane, allo speranzoso Istruzioni per l'uso del futuro. Il patrimonio culturale e la democrazia che verrà. Montanari è infatti un capo politico, presidente di Libertà e Giustizia una specie di partito, o piuttosto un Movimento tipo Cinquestelle, ma di èlite! La bellezza come programma politico, la cultura come progetto rivoluzionario, l'estetica come movimento sociale: si chiama uso politico della storia dell'arte. Una tendenza?

ALL'ALTRO CAPO
Montanari non è solo in questa nuovo torsione della psicopolitica. Spostato sulla destra, con qualche oscillazione eccentrica a sinistra, c'è un altro capo politico (deputato in parlamento, sindaco di Sutri) che deve tutto il suo prestigio, la fama e il potere alla sua reputazione di storico dell'arte: Rinascimento si chiama il suo Movimento-partito. Il suo nome è Vittorio Sgarbi. Il Novecento. Dal futurismo al neorealismo, è il suo ultimo libro. Un libro molto pieno di immagini, così come il Velázquez di Montanari, dove le riproduzioni occupano più della metà delle pagine di testo. Senza le immagini invece, la scrittura del Novecento italiano di Sgarbi, non sarebbe leggibile: sebbene non si sia mai piegato alla dittatura del moderno, non si è mai lasciato risucchiare dal gorgo del ritorno al passato. Qualche volta esagera, per esempio dando spazio al realismo famigliare di Nino Bertoletti, per il fatto che è un amico di fiducia di Giorgio De Chirico. E si capisce che ci sia un capitolo sull'architettura durante il fascismo, ma le troppe pagine sui pittori del fascistissimo Premio Cremona, voluto dal gerarca Roberto Farinacci, lo stesso anno delle leggi razziali, per promuovere l'arte italiana, sono davvero indigeste. Ma la trama del secolo è ben tessuta sui nomi di Modigliani e Morandi, Sironi e Pirandello, Carrà e Savinio, fino a Renato Guttuso Due libri diversi, Sgarbi e Montanari, che funzionano come una stemma del loro potere culturale. Ma se dovessimo usare le stellette, il libro di Sgarbi ne guadagna quattro su cinque mentre il libro di Montanari, un'opera di mera divulgazione, che stona quindi tra i Saggi Einaudi, solo due.
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