Resta un cold case l'omicidio di Lidia Macchi. I giudici della prima sezione penale della Cassazione hanno confermato l'assoluzione per Stefano Binda, ex compagno di liceo della vittima e unico imputato, dichiarando inammissibili i ricorsi presentati dalla procura generale di Milano e dalle parti civili. I supremi giudici hanno accolto dunque le richieste del sostituto procuratore generale Marco Dall'Olio che nel corso della requisitoria aveva sottolineato che «l'autore della poesia "In morte di un'amica" è per forza l'autore dell'omicidio? Non c'è alcun elemento che conduca quella lettera all'omicidio se non una suggestione. Non corrisponde a Binda il dna trovato sulla vittima e non è smentito il suo alibi».
Omicidio Lidia Macchi, i giudici: «È stato un amico a massacrarla»
Un giallo che risale al 1987 quando la studentessa di vent'anni venne trovata morta in un bosco nei pressi dell'ospedale di Cittiglio, nel varesotto, dove la giovane stava andando a trovare un'amica e che vede una svolta quasi trent'anni dopo con l'arresto di Binda, finito sotto processo in seguito a una perizia calligrafica su una lettera anonima inviata alla famiglia della ragazza.
I familiari della vittima
«Crediamo che durante il corso delle indagini e soprattutto dei processi non siano emerse prove a sufficienza per ritenere che Stefano Binda sia stato l'assassinio di Lidia e pertanto comprendiamo la sua completa assoluzione», scrivono in una lettera Paola, Stefania e Alberto Macchi, rispettivamente madre e fratelli di Lidia. «In noi rimarrà per sempre la ferita di non aver trovato il colpevole della morte di Lidia», prosegue la lettera. I familiari ricordano la «dolorosa scoperta della distruzione e sparizione di alcuni reperti che, con le tecniche moderne, avrebbero potuto portare un apporto decisivo in questo percorso giudiziari».
«Come famiglia - prosegue la lettera - ci teniamo a ringraziare tutti quelli che in questi anni hanno collaborato alla ricerca della verità, e in particolar modo il nostro avvocato Daniele Pizzi». I familiari sottolineano nella lettera il difficile percorso doloroso che è la Giustizia e concludono con le parole della stessa Lidia, ricordate da sua madre: «nulla, nemmeno il dolore più atroce è privo di senso…è così semplice rispondere eccomi, anche nella notte più fonda, eccomi, sono Tua (Signore) prima di tutto, eccomi, nulla più mi fa paura».