L’accusa è «rifiuto d’atto d’ufficio». In sostanza, nel 2021 non avrebbero depositato prove ritenute potenzialmente favorevoli agli imputati del processo per corruzione internazionale Eni-Nigeria, conclusosi con l’assoluzione di tutti gli imputati. Il procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale e il pm, poi passato alla procura europea, Sergio Spadaro sono stati rinviati a giudizio a Brescia dal gup Christian Colombo, secondo il quale i due magistrati non avrebbero messo a disposizione delle difese prove segnalate loro dal collega Paolo Storari sulla non attendibilità dell’imputato (e anche accusatore) di Eni Vincenzo Armanna.
ENI, corte appello rigetta richiesta risarcimento Nigeria. Azienda
IL PROCESSO
La vicenda è relativa alle prove potenzialmente favorevoli alla difesa non depositate al processo sulla presunta maxi tangente da 1 miliardo e 92 milioni che sarebbe stata versata ai politici nigeriani per l’ottenimento del blocco petrolifero per il giacimento Opl245. Il processo si è chiuso con l’assoluzione di tutti gli imputati, tra i quali l’attuale amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, e l’ex numero uno, Paolo Scaroni, poiché mancano «prove certe e affidabili dell’esistenza dell’accordo corruttivo contestato», scrivono i giudici nelle motivazioni della sentenza. Sottolineando anche l’operato di De Pasquale e Spadaro: «Risulta incomprensibile la scelta del pubblico ministero di non depositare tra gli atti del procedimento un documento che, portando alla luce l’uso strumentale che Vincenzo Armanna intendeva fare delle proprie dichiarazioni e dell’auspicata conseguente attivazione dell’autorità inquirente, reca straordinari elementi a favore degli imputati». Armanna, ex manager di Eni licenziato dalla compagnia e diventato un accusatore della multinazionale, secondo i giudici aveva l’intento «di ricattare i vertici Eni, lasciando chiaramente intendere a Piero Amara che le sue dichiarazioni accusatorie avrebbero potuto essere modulate da eventuali accordi, facendo un chiaro riferimento a Descalzi».
OMISSIONI
LA DIFESA
Le due toghe hanno sempre professato di avere agito in modo corretto: «Abbiamo operato nel pieno rispetto dei doveri d’ufficio», hanno ribadito nell’udienza dello scorso 2 novembre. Sostenendo di essere rimasti nei margini della «discrezionalità» concessa a chi indaga e precisando che, considerate le modalità di trasmissione, avrebbero avuto validi motivi per non depositare i documenti condivisi dal pm Paolo Storari. Inoltre avrebbero informato della questione l’allora procuratore Francesco Greco e la vice Laura Pedio, che hanno condiviso la loro decisione. Una tesi che non ha convinto il gup di Brescia: la prima udienza davanti ai giudici della Prima sezione si terrà il 16 marzo prossimo.
Profilo Abbonamenti Interessi e notifiche Newsletter Utilità Contattaci
Logout