Non solo culle vuote: crollano le adozioni internazionali. La Cai: «Importanti trasformazioni sociali ed economiche»

Non solo culle vuote: crollano le adozioni internazionali. La Cai: «Importanti trasformazioni sociali ed economiche»
di Alessandra Spinelli
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Domenica 5 Luglio 2020, 09:00 - Ultimo aggiornamento: 19:33
Non fossero bastati le lungaggini burocratiche, gli esami e controesami psicologici e non, le centinaia di documenti e copie conformi tutte autenticate dai notai, i viaggi a vuoto, i mille colloqui con gli assistenti sociali e con gli enti autorizzati, le decine di migliaia di euro spesi. Un’attesa di circa 45 mesi, quasi 4 anni di vita volata via, che dilania il cuore e la mente e mette a dura prova anche il desiderio più fecondo, la disponibilità più accesa. Ora ci si è messo anche il coronavirus che ha chiuso i Paesi. Così l’orizzonte delle adozioni internazionali è sempre più nero, una curva in discesa che collima pericolosamente con la denatalità del nostro Paese. Culle vuote - meno diecimila nuovi nati è il calcolo fatto dall’Istat, ripartiti per un terzo nel 2020 e per due terzi nel 2021- arrivando alla quota record, negativo, di 396mila neonati previsti per il prossimo anno. E camerette di bimbi adottati vuote.

I DATI
D’altra parte, proprio come la denatalità, non si arresta il trend negativo per le adozioni internazionali. Nel 2019, in Italia, è stato toccato il nuovo minimo storico tanto che per la prima volta il numero delle coppie che ha adottato è sceso sotto le mille: sono state 969, -14% rispetto al 2018, circa la metà (-46,7%) rispetto a cinque anni prima quando erano state 1.819. Il numero dei bambini adottati scende a 1.205 (-13,6% rispetto al 2018, -45,6% rispetto al 2015). La fotografia è stata fornita  dalla Commissione per le adozioni internazionali (Cai) che ha pubblicato il report 2019 cui si conferma anche a livello mondiale il consistente calo: tra il 2004 e il 2018 nei ventiquattro principali Paesi di accoglienza si è passati da 45.483 a 8.299 adozioni, l’81,7% in meno. Nel panorama mondiale, secondo il Segretariato de l’Aja nel periodo 2004-2018, il calo delle adozioni è significativo, - 81,7%. Meno drammatico nell’arco temporale 2009-2018, - 71,8%.La Cai sottolinea che il fenomeno delle adozioni non va letto solo dal punto di vista numerico: «Attribuire alla diminuzione dei casi una connotazione negativa assoluta, rischia di inquinare l’analisi del fenomeno». E ricorda che il costante calo dell’ultimo decennio è dovuto principalmente alle trasformazioni interne nei Paesi di origine; in molti casi, modifiche legislative per rendere le adozioni più trasparenti o miglioramenti di politiche per l’infanzia lasciando l’adozione come ultima ratio.  Molte nazioni, specie quelle cosiddette in via di sviluppo, hanno deciso di chiudere le proprie frontiere ai genitori adottivi esterni sia per investire sui propri giovani sia per favorire coppie più locali o comunque di area. Il fine è di non sradicare completamente i piccoli. C’è poi un riflesso socio-politico tutto particolare per cui nell’ondata sovranista che ha investito tutto il globo l’adozione non era più un’opzione ben vista in alcuni Paesi. Inoltre per la Cai, si assiste anche a modiche delle dinamiche interne dei Paesi accoglienti, dove si registrano instabilità nelle relazioni di coppia e crisi economica. E dove, ma questo la Cai non lo rileva, si preferiscono cani e gatti ai bambini.

I TEMPI
Tuttavia l’Italia resta il primo in Europa per numero di bambini adottati all’estero e si conferma al secondo posto nel mondo, dopo gli Usa, per numero assoluto.  In Italia, per adottare un bambino straniero sono necessari, dal momento della domanda, in media 45 mesi. L’attesa varia da nazione a nazione: i tempi più lunghi si rilevano con Haiti (73,2 mesi) e Bulgaria (63,2); i più brevi con Ucraina e Burundi (36). In media, i bambini che arrivano nel nostro Paese hanno 6,6 anni (in linea con il 2018 e in crescita rispetto agli anni precedenti) e sono in maggioranza maschi (53,3%). Il Paese di origine che spicca è la Colombia che registrando 222 (+31,3% rispetto all’anno precedente) nel 2019 ha superato la Federazione Russa che è scesa a 159 da 200 (-20,5%). A seguire, Ungheria (129), Bulgaria e Bielorussia (81). Dei 1.205 bambini autorizzati all’ingresso in Italia, 774 (64,2%; il 70% nel 2018) hanno riguardato portatori di uno o più bisogni speciali.  Una quota importante: il desiderio di genitorialità porta il cuore e la mente oltre gli ostacoli. Anche se la dicitura “bisogni speciali” può voler dire tante cose: bambini già grandicelli intorno agli 8 anni, o magari con un piccolo difetto da correggere chirurgicamente in breve tempo, il più frequente è la cheiloschisi, comunemente chiamata labbro leporino dovuto a gravidanze difficili.

LE REGIONI
Solo cinque regioni, nel 2019, hanno superano i 100 ingressi: Campania (153), Lombardia (151), Puglia (116), Veneto (110) e Toscana (104).
Considerando le coppie, invece, Lombardia (128), Veneto (101) e Campania (104). Registrano un calo di oltre il 30%, Liguria e Sicilia; mentre sono in aumento, ci sono fra le altre, Trentino-Alto Adige, Umbria, Basilicata, Sardegna. I genitori adottivi hanno un’età media che aumenta  e questo anche per quanto riguarda la genitorialità naturale ; la maggiore frequenza, alla data del decreto di idoneità, si ha fra i 40 e 44 anni, il 35,6% per i mariti e il 38,3% per le mogli.  Anni importanti, perché per legge si potrebbe anche ricevere dalla cicogna estera un bimbo di pochi mesi.  Gli over 50 sono il 15% e il 6,5% - ma in alcuni Paesi sono privilegiati rispetto ai più giovani -  e solo un marginale 0,1% dei mariti e 0,5% delle mogli ha meno di 30 anni. Mamme e papà adottivi hanno sempre un elevato livello di istruzione; la maggioranza ha la laurea (51,6% dei mariti e 60,7% delle mogli) : rispetto alle professioni, dove nel passato la maggioranza svolgeva attività impiegatizia, nel 2018 e 2019 il lavoro più diffuso ora riguarda professioni intellettuali, scientifiche e di elevata specializzazione.
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