«Assicurazioni, nessuna concorrenza
sleale». Il Giudizio a maggio

«Assicurazioni, nessuna concorrenza sleale». Il Giudizio a maggio
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Mercoledì 8 Aprile 2020, 13:05 - Ultimo aggiornamento: 19:54
 Dagli avvocati  Marco Iacoboni e Gianluca Messercola abbiamo ricevuto una nota per conto dei sig.ri Emiliano Nardone e Dennys Bonomo, in riferimento all’articolo pubblicato in data 1 aprile 2020 sul quotidiano on–line de “Il Messaggero” – cronaca di Frosinone -,  sotto il titolo: «Concorrenza sleale, il giudice blocca due sub-agenti: stavano spolpando una delle maggiori agenzie assicurative di Frosinone».
Ecco il testo:
«Siamo, innanzitutto, a rappresentare che il surriferito articolo – sia nel titolo che nel testo – presenta espressioni e considerazioni che offendono palesemente l’identità, la reputazione, l’onore e l’immagine dei nostri assistiti, indicati sprezzantemente come due subagenti “che stavano spolpando….” e dei quali viene, in termini offensivi, messa in discussione la professionalità e la competenza. Siamo infatti convinti che il diritto di cronaca e di critica debba arretrare o quanto meno arrestarsi dinnanzi al rispetto della dignità della persona, diritto, quest’ultimo, inviolabile dell’uomo, ampiamente tutelato dall’art. 2 della Costituzione, Corre l’obbligo, pertanto, di smentire l’assunto “palesato come certezza processuale” contenuto nell’articolo e relativo ad un’avvenuta concorrenza sleale, che sarebbe stata posta in essere dai nostri assistiti, nonché la circostanza che “in pochi mesi hanno “spolpato” una delle maggiori agenzie assicurative di Frosinone”, in quanto l’ordinanza emessa dal Tribunale di Frosinone in sede di reclamo a provvedimento ex art 700 cpc, ha solo sommariamente sviluppato un proprio convincimento che, per l’accertamento concreto dei fatti richiede un giudizio di merito, attualmente ancora pendente avanti il Tribunale di Frosinone ed ancora fermo alla fase introduttiva . Le affermazioni riportate nell’articolo in discussione, dunque, oltre ad essere non del tutto veritiere risultano del tutto incomplete, in quanto omettono di riferire che già in precedenza, con ordinanza del 17 gennaio 2020, il Tribunale di Frosinone aveva rigettato la tesi della UniAssiFin srl, con un convincimento del tutto opposto a quello relativo all’ordinanza con la quale veniva accolto il reclamo. È, peraltro, doveroso chiarire – nel rispetto dei principi che sorreggono il nostro ordinamento giuridico e per il buon nome dei nostri clienti - che l’ordinanza in commento non produce, in re ipsa, giudicato tra le parti, essendo i fatti da Voi riportati, ancora oggetto di un giudizio di merito pendente innanzi al Tribunale di Frosinone. Fatta tale debita premessa e senza scendere oltre nei dettagli processuali (vi sarebbero anche aspetti giuridici affrontati nel testo dell’articolo da contestare e non del tutto conformi alla realtà normativa, ma questo è altro discorso), appare necessario sottolineare come debba ritenersi inaccettabile il tentativo dell’articolista di decantare il provvedimento cautelare alla stregua di una sentenza passata in giudicato, tralasciando il carattere sommario ed urgente che lo caratterizza, e la circostanza che tale provvedimento è destinato a perdere efficacia a fronte di un giudizio di merito, a cognizione piena, unico ad essere definito con sentenza. Appare evidente, quindi, che tale provvedimento non ha carattere definitivo, atteggiandosi quale misura cautelare provvisoria, anche in relazione agli effetti, e non statuisce risolutivamente, sui diritti controversi, né può assumere autorità di giudicato sostanziale (come viceversa sembra palesarsi erroneamente nell’articolo). Non corrispondente alla realtà dei fatti risulta, dunque, l’affermazione – contenuta nel titolo dell’articolo – in cui si attesta che i sig.ri Nardone e Bonomo: “stavano spolpando una delle maggiori agenzie assicurative di Frosinone.”, in assenza di un accertamento di merito completo. Parimenti falsa è l’affermazione – contenuta nel testo dell’articolo – che afferma: “In verità, nel corso del processo, gli stessi clienti hanno ammesso di essere stati avvicinati e contattati direttamente dai due subagenti. Cosa ben diversa dai presunti messaggi pubblicitari..”. L’articolista vuole o mostra di ignorare o di non interessarsi alla effettiva realtà della vicenda e si limita ad ascrivere ai nostri assistiti comportamenti che allo stato non risultano compiutamente accertati, sì da voler ingenerare nel lettore una rappresentazione dei fatti del tutto arbitraria ed ad esclusivo danno dei sig.ri Nardone e Bonomo. Lo stesso paragrafo denominato “la difesa” risulta il frutto di una visione parziale degli eventi e appare congeniato al solo intento di screditare il buon nome dei nostri assistiti, tanto più che le ricostruzioni – della cd “difesa” - sono generate - inaudita altera parte - senza aver minimamente interpellato e/o consultato i sig.ri Nardone e Bonomo, ovvero i loro difensori. È bene sul punto far presente che diversamente da quanto dedotto dall’articolista nel giudizio non sono ancora stati escussi testimoni che, per amore della verità, i sig.ri Nardone e Bonomo hanno indicato in numero di circa 300 mentre per la controparte in solo 6. L’intento diffamatorio si palesa anche nella finale affermazione in cui, l’ articolista, conclude: “Parallelamente, è stato aperto un processo in sede Civile per il risarcimento del danno, calcolato in circa 350 mila euro la effettiva evidenza processuale e mirando esclusivamente a …”. Detta affermazione è non solo processualmente non corretta ma dimostra ancora una volta – anche nell’indicazione generica del petitum (peraltro già smentito nell’ordinanza del 17 gennaio 2020) – l’intento dell’articolo di voler strumentalizzare i fatti a favore di una parte, con l’unico e chiaro intento di ledere la reputazione dell’altra. Da ultimo, non possiamo che ribadire come il trattamento di dati sensibili e personali operato dal giornalista nell’articolo in oggetto, senza alcun consenso degli interessati né autorizzazione di organi superiori, palesi una evidente lesione di diritti e libertà fondamentali protetti dall’art. 2 della Costituzione, quali la riservatezza, l’identità personale e il diritto alla protezione dei dati personali. Nello specifico, occorre osservare che la notizia trattata dall’articolista non solo non riveste un rilevante interesse pubblico ma non risponde, in alcun modo, alla necessità di informare la collettività di fatti e circostanze di interesse generale né tanto meno trova alcuna giustificazione nell’originalità dei fatti narrati, nel modo in cui gli stessi sono svolti e nella particolarità dei soggetti in essi coinvolti».
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