Tre metri sopra il cielo, 15 anni fa il film: «Io sono il vero Step»

Tre metri sopra il cielo, 15 anni fa il film: «Io sono il vero Step»
di Veronica Cursi
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Sabato 16 Marzo 2019, 12:03 - Ultimo aggiornamento: 12:48

Tre metri sopra il cielo, 15 anni fa usciva il film

L'intervista al vero Step pubblicata sul Messaggero nel 2006


Tutti i suoi ricordi, gli amici che non ci sono più, le scazzottate in piazza per «difendere un'isola felice che era solo nostra», e poi il sorriso di Daniela, il loro amore, quando insieme pensavano «di spaccare il mondo», sono racchiusi dentro le pagine di un libro che ancora oggi, a quattordici anni di distanza, fa sognare intere generazioni. Un racconto che vive nelle parole di Step e Babi, in quella scritta leggendaria sul viadotto di Corso Francia “Io e te tre metri sopra il cielo”, ma che, in realtà, in ogni singola riga, in ogni più piccolo particolare parla di lui, Stefano Pecci. Step. E del suo modo «romantico e violento di vivere la vita». «Quando Federico Moccia, che conoscevo di vista vent'anni fa a piazza Jacini, scrisse il suo libro - racconta Stefano, 42enne romano che come Step ha passato la sua adolescenza tra risse e gare sull'Olimpica - mia madre lo chiamò a casa. Non poteva credere che qualcuno avesse scritto un racconto sulla mia vita. Dopo di lei, ogni anno, c'era sempre chi mi accomunava al personaggio del libro. E ancora oggi che sono passati tanti anni, non c'è una persona che leggendo quella storia non riconosca in me il protagonista».

Tre metri sopra il cielo, il film compie 15 anni: così nasce Roma Nord



Come Step, infatti, anche Stefano ha passato i suoi anni «da pischello in mezzo ai ragazzi della Roma bene, a rovinare le feste a cui non era mai invitato». E come lui, a 18 anni si è innamorato della sua Babi: Daniela, «quindicenne borghese di buona famiglia con cui vissi 6 anni d'amore». Quando piazza Euclide era il salotto dei pariolini e loro, «i giovani male della Roma bene», Pecci, proprio come Step, visse i suoi «tre metri sopra il cielo». Poi, quando la sua storia finì, «perché a un certo punto anche le cose belle finiscono», come lui decise di arrampicarsi su un muro della Cassia per urlare al mondo: «Amore mio, anche se non sarai con me, spero solo che tu sia felice...». Di lui Moccia, nel libro, racconta tutto: piazza Jacini, il ritrovo dei “budokiani”, ovvero i ragazzi che come lui sia allenavano nella palestra Budokan di piazza Risorgimento, gli amici che non ci sono più: «Penso a Johnny, morto in un incidente automobilistico o a Stefano, morto di overdose. E anche se Federico li conosceva bene, si è sempre dimenticato di ringraziarli per averlo ispirato».

Sono passati quasi vent'anni da quando Moccia scrisse il suo libro. Ma nonostante le somiglianze con il protagonista, lo scrittore nega che Pecci possa essere la sua unica fonte d'ispirazione: «Sono tanti gli Step che ho conosciuto - afferma Moccia - Stefano Pecci è sicuramente uno dei più famosi. Ma di Step ce ne sono stati molti altri. Eroi di una vita piena di valori, di amicizie e di gesti che ho cercato di ricordare e di ringraziare donando loro un posto nel sorriso delle generazioni future. Quando ero piccolo stavo sempre a piazza Euclide. Erano tanti i ragazzi che frequentavano quel ritrovo e tutti loro mi hanno suggerito delle storie.

Poi, aiutato dalla fantasia, ho scritto “Tre metri sopra il cielo”. Step è colui che ogni ragazza vorrebbe incontrare per sentirsi sicura e amata. Anche nella storia con Babi, ho preso delle licenze poetiche. Per lei però, una musa ispiratrice c'è stata davvero: una mia ex fidanzata con cui stavo quando avevo 16 anni. Andava all'Assunzione, ero pazzo di lei». E poi c'è stata quella frase, sul viadotto di corso Francia. «Volevo scrivere qualcosa di romanticissimo. Che racchiudesse tutte le storie d'amore che avevo conosciuto. Lì ad esempio l'ispirazione venne da mio padre. Vede, c'è una frase di Marcel Proust che mi sembra perfetta: Ogni lettore, quando legge, legge se stesso».

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