Farhadi regista de Il Passato: «In Iran abbiamo la censura preventiva, negli Usa c'è quella del mercato»

Asghar Farhadi
di Gloria Satta
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Martedì 26 Novembre 2013, 11:20 - Ultimo aggiornamento: 28 Novembre, 16:14
​Con “Il passato”, distribuito nelle sale da Bim, il regista iraniano Asgar Farhadi concorre al secondo Oscar. Il primo l’aveva vinto l’anno scorso con "Una separazione”. Questa volta, finanziato da capitali francesi e della Bim stessa, Farhadi ha ambientato la nuova storia alla periferia di Parigi, dove un uomo iraniano ritrova la moglie francese dalla quale sta divorziando mentre lei aspetta un bambino da un altro. Nel ruolo della protagonista è Bérénice Bejo, premiata come migliore attrice a Cannes.



Mentre “Il passato” conquista nuovi spettatori, il regista ha risposto alle nostre domande.



E’ stata la prima volta che ha girato un film fuori dall’Iran?

«Sì, esperienza decisamente positiva. Il mio metodo di lavoro non è cambiato».



Si aspetta di vincere un nuovo Oscar?

«Un regista si aspetta sempre il successo perché desidera che i suoi film vengano visti da più spettatori possibili. E l’Oscar aiuta moltissimo».



Com’è andato il film in Iran?

«Molto bene, ha eguagliato gli incassi di Una separazione».



Perché qualcuno ha contestato che il film rappresentasse il suo Paese all’Oscar?

«Le contestazioni sono venute da quelli che pensano che siano i soldi a determinare la natura di un film, e non il regista. Con queste persone non discuto nemmeno».



Perché, per raccontare l’Iran, da “About Elly” fino a “Il passato” lei ha scelto sempre storie familiari?

«Io faccio un cinema sociale che parla di potere e società. E non c’è niente di più efficace della famiglia per raccontare l’influenza che il potere ha sulla società».



Il significato del film è che non possiamo liberarci del passato?

«Non è un messaggio ma una domanda: che vogliamo fare del nostro passato? La riposta rimane sospesa».



Un regista iraniano deve avere l’approvazione della censura?

«I film che vogliono essere proiettati in pubblico devono essere approvati dalle autorità, prima delle riprese e dopo. Da noi la censura è diretta, ma in America c’è una censura forse ancora più forte che si chiama capitale».



Lei ha mai avuto problemi?

«Qualcuno l’ho avuto, ma non ne ho mai parlato con la stampa. Non sono uno di quei registi che vanno ai festival a lamentarsi. Non voglio la compassione del mondo, voglio essere giudicato per i miei film. Questo non significa che la censura da noi non esista».



Come si è formato?

«Dal teatro ho attinto il senso drammaturgico, la letteratura mi ha insegnato il realismo. Il mio cinema è la combinazione dei due elementi con una grande attenzione per i personaggi».



Cosa si aspetta dal futuro dell’Iran?

«Che si affermi la volontà popolare. Sogno un Paese sempre più avanzato ma con le radici saldamente ancorate nella sua cultura. Non potrei vivere in un Paese-fotocopia di una moderna nazione occidentale».
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