«Serve un patto di legislatura per garantire che non si va a elezioni e non si blocchi l’attuazione del Pnrr. Soltanto dopo si potrà sciogliere il nodo del Quirinale». Sono queste, alla vigilia della fase decisiva per la scelta del successore di Sergio Mattarella, le parole del segretario del Pd Enrico Letta, ma anche quelle del leader leghista Matteo Salvini e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. E non è un caso che tutti, indipendentemente dal colore politico, abbiano messo a fuoco che senza sciogliere il nodo del governo non si scioglie quello del Quirinale, soprattutto adesso che Mario Draghi appare sempre più vicino al Colle. Il timore del voto anticipato e di bloccare il piano da 220 miliardi con prestiti e sussidi europei è infatti talmente forte da spingere la trattativa alla paralisi, indipendentemente dal pantano in cui Silvio Berlusconi con la sua candidatura ha gettato il centrodestra.
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Il premier che verrà
Diventa decisiva allora la fisionomia del nuovo governo se, com’è ormai probabile, Draghi dovesse essere eletto capo dello Stato. Il primo step è la figura del premier. L’ipotesi più accreditata è che sia un ministro dell’attuale esecutivo. I nomi più gettonati: Vittorio Colao (responsabile dell’innovazione tecnologica e della transizione digitale), Marta Cartabia (Giustizia), Daniele Franco (Economia). Ma c’è chi sostiene che Colao o Franco dovrebbero restare dove sono, visto che si occupano di Pnrr, per garantirne l’attuazione su una linea di continuità.
IL GOVERNO DEI LEADER
Indipendentemente dal premier, Salvini un paio di settimane fa ha proposto «il governo dei leader». Vale a dire: tutti i segretari dei partiti di maggioranza dentro all’esecutivo con un ruolo da ministri. Letta ha immediatamente bocciato la proposta, sostenendo che è impensabile che in un anno di campagna elettorale i segretari di partito se ne stiano nei loro dicasteri rinunciando a comizi e comparsate tv. Tanto più che l’obiettivo di Salvini è tornare al ministero dell’Interno per cavalcare una nuova volta il tema della lotta ai migranti. Opzione inaccettabile per il Pd, Leu, M5S.
L’ESECUTIVO FOTOCOPIA
All’opposto del governo dei leader c’è la riedizione del governo Draghi, senza Draghi, ormai transitato al Colle. In questo caso l’ex presidente della Bce potrebbe indicare come capo del governo uno dei suoi ministri. E qui tornano i nomi di Colao, Cartabia o Franco. Il resto della squadra resterebbe quella attuale, salvo trovare un sostituto per il ministro transitato nel frattempo a palazzo Chigi, per evitare di innescare squilibri pericolosi. Questo governo fotocopia sarebbe debole e il Pd teme che Salvini possa sfilarsi. In questo caso si precipiterebbe verso le elezioni anticipate.
IL GOVERNO IBRIDO
E’ la formula di mediazione tra l’esecutivo dei leader e quello fotocopia. Servirebbe a soddisfare l’appetito dei partiti e a rendere in qualche modo l’esecutivo più stabile e autorevole. In questo schema ibrido verrebbe ridotta la compagine dei tecnici. Con l’eccezione di Franco che dovrebbe restare al suo posto per garantire continuità al ministero dell’Economia e dunque all’attuazione del Pnrr, potrebbero essere sostituiti da politici tutti gli altri ministri: Vittorio Colao (Innovazione), Luciana Lamorgese (Interno), Roberto Cingolani (Ambiente), Enrico Giovannini (Infrastrutture e trasporti), Patrizio Bianchi (Istruzione). Insomma, i partiti potrebbero trovare da questa formula la “consolazione” e il “risarcimento” per il trasferimento di Draghi al Quirinale.
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