L'editoriale/Stop ai fanatismi green. Più incentivi, non imposte - di Virman Cusenza

Economia circolare, Cusenza: «Stop ai fanatismi green. Più incentivi, non imposte»
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Giovedì 31 Ottobre 2019, 00:04 - Ultimo aggiornamento: 20:56

Ieri il Messaggero ha riunito esperti, imprese e membri del governo - insomma i protagonisti del settore - per riflettere su un tema apparentemente ostico ma in realtà padroneggiato quasi inconsapevolmente da ciascuno di noi: l’economia circolare. Non è una parolaccia o un surrogato della preistoria. Proviamo a darne una sintetica definizione: un modello di produzione e consumo di materie e prodotti esistenti nel pianeta di cui garantire la durata più lunga possibile. Questo utilizzo spazia dal ciclo dei rifiuti agli oggetti frutto della tecnologia: insomma, un modo di estendere il ciclo di vita di ciò che si produce, generando valore. E quindi risparmi e perciò nuove risorse economiche. Sono concetti che in modo più articolato avete letto ieri mattina nel nostro speciale inserto.

Per decenni abbiamo avuto un approccio sbagliato, figlio dell’ignoranza: l’utilizzo senza fine delle materie prime disponibili e di energie reperibili a basso prezzo sulla terra che abitiamo. Questa illusione pericolosa è caduta nel momento in cui abbiamo trovato dei criteri di misurazione che ci dicono come ormai esauriamo già a fine luglio il budget annuale di risorse planetarie a nostra disposizione. Questo che cosa significa? Innanzitutto ci ricorda idealmente un’altra scadenza ravvicinata. Celebriamo nella stessa stagione in Italia il giorno di liberazione dalle tasse, alla fine di giugno, e abbiamo un problema di esaurimento invece di materie prime alla fine di luglio. Entrambi sono un fardello di cui dobbiamo assolutamente alleggerirci. Nel primo caso si tratta di una tassazione spesso troppo onerosa o iniqua nei confronti del reddito, nell’altro un irrazionale utilizzo delle risorse che ci danneggia come cittadini del mondo.

Entrambe le scadenze ci devono ricordare come lo Stato da una parte e i cittadini dall’altra possano e debbano avere dei comportamenti razionali (non tassare ingiustamente) e virtuosi (non dissipare materie prime e oggetti da mettere in ricircolo) per dare una svolta alle nostre vite.
Per ottenere questo naturalmente occorre una discontinuità culturale: dobbiamo passare dal sistema lineare, il cosiddetto “usa e getta”, a quello circolare. Per troppo tempo lo abbiamo fatto ma senza neanche pensarci troppo. Poi invece ci siamo accorti che qualcosa stava cambiando. Basta dare un’occhiata alla zavorra nemmeno tanto nascosta nelle nostre case o nei magazzini delle imprese: materia inerte inutilizzata. Come l’automobile che giace in garage o nei parcheggi non usata per il 90% del tempo, contro il 60% delle vetture in car sharing. Morale: la condivisione di un mezzo o di uno strumento, non solo abbassa i costi, ma ovviamente elimina lo spreco di materia e quindi è un comportamento virtuoso.

Siamo arrivati a questa consapevolezza che però deve essere guidata dalla politica: è un percorso di pura razionalità che deve essere affrontato senza fanatismi perché, ammettiamolo, nel nostro Paese alla fine di molte intenzioni pur virtuose in origine c’è sempre la deriva ideologica, la solita tentazione della scorciatoia per ottenere subito dei risultati, magari solo mediatici. Invece dobbiamo raggiungere questo obiettivo con concretezza e pragmatismo, evitando trappole come quella della “dittatura green” che spaventa il mondo produttivo e blocca il dinamismo della nostra industria. Il dibattito che è scaturito dalle misure “verdi” della manovra del governo in corso di definizione proprio in queste ore ne è un eloquente esempio.

In sintesi, è necessario uno sguardo nuovo e un metodo liberale che ribalti l’impostazione seguita finora: far fioccare gli incentivi, preparando la strada dell’innovazione, e non danneggiare intere filiere imponendo preventivamente nuove tasse.

Stimolare e aiutare, non deprimere. Significa che l’economia circolare deve essere vissuta come una spinta alla crescita e non come rischio di regole forzose che frenano lo sviluppo del nostro sistema produttivo. Del resto abbiamo un indicatore, fondamentale. Un rapporto ad hoc di Bankitalia ci ricorda che abbiamo un primato mondiale, proprio quello dell’economia circolare, che va difeso a tutti i costi. Va messo al riparo anche da una concorrenza naturalmente leale e sana, qual è quella di Paesi come la Francia e la Germania che stanno cambiando i loro piani all’insegna dell’economia green nella direzione della competizione e della crescita. Peccato che però si tratti di due Paesi che per loro fortuna dispongono di grandi aziende. Proprio quelle che invece fuggono dal nostro Paese. Ecco perché dobbiamo a maggior ragione attrezzarci per tutelare questo primato. La strada è semplice, sempre che se ne veda in tempo la traiettoria.

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