Paolo Pombeni
Paolo Pombeni

Tendenza green / ​L’utopia della Ue e i veri interessi dei Paesi membri​

di Paolo Pombeni
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Venerdì 17 Marzo 2023, 23:55
Il Parlamento europeo sembra inconsapevole della distanza che lo separa dalle opinioni pubbliche dei Paesi aderenti, altrimenti sarebbe più attento alle prese di posizioni ideologiche che, lungi dal costruire un’Unione Europea migliore, sono solo un tributo ad alcune mode del tempo.
La recente pronuncia sul piano per le cosiddette “case green”, una direttiva passata con il margine di una cinquantina di voti, dunque non proprio qualcosa che testimoni una larga concordia, è una specie di conferma di quanto abbiamo appena osservato. L’altra è la pronuncia sulle auto elettriche. 
Sono due decisioni, queste ultime, che non tengono conto del quadro realistico del contesto in cui debbono calarsi. Quella sulle auto elettriche è poi stata messa in discussione quanto a fondatezza su queste stesse colonne da una personalità non certo sospettabile di anti europeismo o di inclinazioni conservatrici (Romano Prodi).
Sarebbe eccessiva una battuta da avanspettacolo: i parlamentari europei pensano che siccome dal tubo di scappamento delle auto elettriche non esce fumo, allora il problema dell’inquinamento è risolto.
Ovviamente non è così, così come si fa presto a decidere che se la gran parte degli edifici europei fosse “green” vivremmo certamente in un mondo più pulito: peccato però che si debbano fare i conti con la sostenibilità di una tale imposizione sia in termini economici che di consenso.
È abbastanza curioso che nelle aule di Bruxelles e Strasburgo, dove si dovrebbe già guardare alla scadenza elettorale delle Europee dell’anno prossimo, non si sia data un’occhiata all’astensionismo nella tornata del 2019. 
Pochissimi Paesi superavano il 70% dei votanti (fra cui stati piccoli come Malta e Lussemburgo), solo quattro si attestavano intorno al 60% (Austria, Spagna, Grecia, Germania e Danimarca), mentre gli altri andavano da poco più della metà del corpo elettorale (come in Italia, al 54,5%) fino a percentuali fra il 21 e il 30% nell’Est europeo. Non crediamo che ad oggi si possano immaginare incrementi significativi nel tasso di partecipazione.
In queste condizioni che senso ha diffondere l’immagine di un parlamento europeo che si impegna a promuovere manifesti ideologici anziché contribuire a risolvere dei problemi? 
Perché, è bene dirlo, non pensiamo affatto di negare che la questione climatica sia molto importante, che la decarbonizzazione sia un obiettivo significativo. Crediamo semplicemente che non siano problemi risolvibili producendo libri dei sogni.
Sono riflessioni che devono essere fatte per non perdere la conquista importante che si fece negli anni Settanta del secolo scorso per avere un organismo “rappresentativo” anche per la costruzione della nuova Europa. 
Ora il parlamento della Ue non è esattamente una istituzione che possa davvero produrre decisioni politiche. Quelle sono lasciate nelle mani del Consiglio Europeo, cioè nella riunione dei capi di stato e di governo dei 27 Paesi e in qualche misura nella Commissione che nei fatti a questo più che al parlamento è legata. 
E infatti, tanto per restare al caso delle auto elettriche, in sede di Consiglio si sono ridimensionate le intemerate parlamentari. Il risultato è una assemblea parlamentare pletorica, da cui non scaturiscono, a parte qualche rarissimo caso che per altro non ricordiamo, leader politici che si mettano alla guida del sistema.
In generale dovrebbe essere interesse di tutti gli europeisti consapevoli contrastare questo ritorno alla politica dei manifesti ideologici, prima che essa possa consentire a tutti quelli che di una rafforzata cooperazione europea farebbero volentieri a meno la denuncia di questi astrattismi per indebolire l’istituzione comunitaria e svuotare di significato le prossime elezioni europee.
La faccenda è poi piuttosto delicata nel nostro Paese. Tutti sappiamo che l’intenzione dei nostri partiti è puntare sulle urne europee della prossima primavera, quando si voterà con un sistema proporzionale, per testare e accreditare la forza di ciascuno. 
Ebbene, quel test avrà scarsa validità se la partecipazione elettorale si contrarrà ulteriormente, cosa che non stupirebbe visto il trend attuale, e se il confronto dovesse concentrarsi fra chi si schiera per l’ideologismo senza costrutto che sta imperando e chi vuole approfittare di questo per fare una battaglia di pura conservazione dell’esistente.
Dovremmo sapere tutti che di Europa c’è bisogno da molti punti di vista: per affrontare problemi epocali come i flussi migratori, per non finire trascinati in posizioni marginali negli scontri neo-imperialisti che si vanno imponendo, per governare molte trasformazioni che hanno ormai cambiato il volto delle nostre società. 
Trattandosi però di temi molto più che delicati, non servono le fughe nell’utopia, e neppure la resa agli slogan del momento che magari eccitano minoranze anche di qualche consistenza, ma lasciano crescere in quella che una volta si chiamava la maggioranza silenziosa sentimenti di distacco dalla politica che non sono una buona premessa per lo sviluppo dei nostri contesti democratici.
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