Siamo pronti a considerare la possibilità che un nostro figlio possa essere chiamato a proteggere il fronte orientale dell’Unione Europea al confine tra la Polonia e l’Ucraina? Riusciamo a concepire l’ipotesi che la nostra città (fosse essa Varsavia, Roma o Mosca) possa essere volatilizzata anche solo da uno degli undicimila ordigni nucleari, che abbiamo chiuso in un arsenale capace di disintegrare per 22 volte tutte le città del mondo? E, soprattutto, come possiamo difendere quello che resta di una pace precaria fondata su un diritto internazionale che impone di difendere Stati aggrediti e popoli privati di diritti, senza rischiare l’apocalisse? Come riuscirci dal punto di vista di un’Europa che non riesce neppure ad avere un’unica polizia di frontiera? È questo il problema che dobbiamo avere il coraggio di porci.
Di una guerra totale stiamo sottovalutando sia la possibilità che la dimensione. Ne sottovalutiamo il pericolo perché abbiamo perso la memoria storica che insegna che le grandi guerre non nascono mai per convenienza. Ma per errore (come quello fatto dagli austriaci a Sarajevo nel giugno 1914): o per ignavia (quella dei francesi e degli inglesi che consentì ad Hitler di invadere la Polonia nel settembre del 1939).