Paolo Balduzzi
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Il merito in classe / La scuola e le eccellenze imitate anche all’estero

di Paolo Balduzzi
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Lunedì 26 Febbraio 2024, 23:52

Uno dei grandi misteri della scuola italiana riguarda il tema della valutazione, a cominciare da quella degli studenti. Sembrerebbe una questione semplice da affrontare, quasi naturale. Ma pur ammettendo che non lo sia, una volta presa una decisione non ci si aspetterebbe che questa venga continuamente cambiata: sia per non creare eccessiva confusione in studenti e docenti sia, in fin dei conti, per non sbugiardare se stessi. 
Tuttavia, anche quest’anno sembra che la pagella dei nostri figli cambierà, tornando ai voti tradizionali che vanno da “Insufficiente” a “Ottimo”. Vale la pena di ricordare che si tratta di giudizi relativi alla scuola primaria, cioè riferita a bambini dai sei ai dieci anni: un momento della vita in cui è certo più utile esprimere un giudizio costruttivo su quali siano i risultati raggiunti e dove invece sarebbe meglio lavorare un po’ di più rispetto a meramente catalogare come “insufficiente” l’impegno di un bambino. 
Anche perché poi tutto questo fervore creativo dedicato alla valutazione degli studenti non trova adeguata controparte rispetto ad altre dimensioni. Che sono almeno due. La prima, forse ovvia ma politicamente difficile da realizzare, riguarda la valutazione degli insegnanti. 
Alzi la mano chi, osservando le dinamiche scolastiche, non ha mai pensato che i diritti di un insegnate valgano ingiustamente di più di quelli dei loro alunni.
I primi, per esempio, hanno diritto a esercitare una scelta di lavoro fino ad anno scolastico inoltrato; i secondi, al contrario, possono rimanere senza un docente anche per diversi mesi. 
O sperimentare insegnanti diversi nel corso dell’anno. Con che tranquillità si riesce poi a valutare un ragazzo che ha cambiato professore di matematica tre volte nel corso dell’anno? O un bambino che ha cambiato maestra cinque volte nel corso del quinquennio elementare? È vero: gli stipendi nella scuola sono insufficienti. E a fronte di ciò, sono due le uniche (ma opposte) motivazioni alternative che guidano un docente, come ha spiegato bene Cecilia Lavatore una settimana fa proprio sul Messaggero: la vocazione o la ricerca di un posto fisso (il “porto sicuro”).
Aumentare le risorse a favore del corpo docente, premiando però di più chi lavora in maniera più creativa e appassionata, non sembra certo una richiesta che merita ulteriori giustificazioni. 
La seconda dimensione, invece, riguarda la necessità di una valutazione a tutto tondo della scuola e dell’esperienza del sistema educativo italiano nel corso degli anni. Ci sono organizzazioni internazionali (l’Ocse su tutti) che propongono test standardizzati per valutare lo stato delle competenze degli alunni nei Paesi partecipanti. È una misura utile anche per approssimare lo stato del sistema educativo nazionale, a patto di conoscere bene la metodologia, averne ben consci i limiti e saper leggere i risultati, andando oltre i semplici valori numerici (esattamente come dovrebbe fare un bravo insegnante). 
Ma non ci si può accontentare di questo: la scuola non è e non può essere considerata una semplice agenzia di produzione di competenze; la scuola è un soggetto educativo che concorre insieme alle famiglie a formare individui, una parola che non è scelta a caso. 
Da questo punto di vista, possiamo considerare soddisfacente la scuola italiana? Il curriculum e il metodo tradizionali sono adatti a sviluppare appieno le individualità degli alunni? Le modalità di insegnamento sono attente alle differenze o mirano al risultato finale? È incredibile come, anche in buona fede, chiunque parli di belle esperienze in campo educativo porti esempi stranieri. Basterebbe approfondire un po’ la questione per realizzare che queste esperienze straniere non sono altro che, a loro volta, ispirate alla scuola italiana.
Non la scuola italiana che conosciamo tutti, però: bensì la scuola Montessori. Una scuola che, in Italia, non conosce davvero quasi nessuno; che è relegata a poco più di duecento istituti (pubblici o privati) su tutto il territorio nazionale; che è stata dimenticata, se non addirittura ostacolata, da ministri di ogni colore, età, genere ed esperienza politica.
Nessuno pensa che da un giorno all’altro il metodo Montessori possa imporsi nella scuola Italia; né, peraltro, che dovrebbe davvero farlo: se libertà di scelta ci deve essere nel bambino che cresce, come prevede il metodo, così è giusto rispettare la libertà di famiglie e insegnanti stessi. 
Ma promuovere questa eccellenza sarebbe il modo migliore per valorizzare il proprio passato e investire su un futuro migliore.
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