Romano Prodi
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Traffici coperti/ L’arma (spuntata) delle sanzioni economiche

di Romano Prodi
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Sabato 23 Marzo 2024, 00:21
Applicare sanzioni contro il nemico fa parte della storia dell’umanità. Adottate fino dalle guerre del Peloponneso, le sanzioni hanno per noi avuto il massimo di risonanza negli anni trenta con i provvedimenti contro la Germania, il Giappone e l’Italia, nel tentativo di bloccare l’ascesa dei regimi totalitari. Negli ultimi anni, soprattutto dopo la guerra di Ucraina, l’arma delle sanzioni è diventata più sofisticata e più estesa, in un contesto che la rende tuttavia sempre più difficile da applicare.
Più estesa in quanto si dirige direttamente verso un crescente numero di nazioni, per colpire non solo la Russia, ma anche la Corea del Nord, l’Iran e tutti i paesi che collaborano con loro o che aiutano in qualche modo il terrorismo internazionale. Un arma che, per essere efficace, deve evidentemente definire in modo inequivocabile sia gli obiettivi che intende colpire sia le restrizioni da imporre a tutti i paesi che commerciano o operano con i paesi colpiti. Gli obiettivi si sono poi progressivamente raffinati, avendo come destinazione non solo i leader politici e i loro fiancheggiatori, ma anche le imprese, i mezzi di trasporto e le banche che forniscono il sostegno finanziario a ogni attività economica. Per descrivere la complessità del sistema basta pensare che, a tutt’oggi, nei confronti della Russia sono in vigore 1229 diverse sanzioni da parte americana e 926 da parte europea. Quasi altrettanto numerose sono le analoghe misure nei confronti dell’Iran e della Cina.
Misure che, per essere efficaci, dovrebbe essere condivise e applicate dalla totalità dei paesi e degli attori economici che hanno un rapporto con le persone o con i paesi soggetti a sanzione. E qui cominciano le difficoltà. I controlli sul sistema finanziario internazionale si sono via via indeboliti a partire dagli anni ‘80 e le misure di carattere finanziario, pur essendo quelle che controllano più efficacemente le relazioni tra le grandi imprese, non sono certo in grado di garantire la trasparenza dei rapporti economici perché, ormai, anche i paesi che non si sentono obbligati al rispetto dell’embargo, sono in grado di gestire sofisticatissimi strumenti finanziari. Inoltre la moltiplicazione del commercio internazionale ha trasformato il modo di produrre e i rapporti fra le diverse imprese che, in modo crescente, danno vita a componenti e semilavorati sempre meno identificabili. Le così dette catene del valore si sono infatti talmente modificate che ogni prodotto racchiude in sé infiniti componenti, materiali o immateriali, che hanno origine in un altrettanto infinito numero di paesi.
Per rimanere ancorati al solo mercato petrolifero, che comporta il flusso di denaro più importante, bisogna prendere atto che, nonostante l’embargo, le esportazioni iraniane sono oggi al massimo storico, quelle russe superano gli otto milioni di barili al giorno e la maggior parte di questo petrolio viaggia su navi fantasma. India e Cina ne sono ovviamente i grandi acquirenti, ma la Turchia, i paesi del golfo, il Kazakistan e i paesi dell’Asia centrale sono attivi nell’organizzare un commercio dal quale non è certo estranea l’Europa che, da quando è cominciata la guerra di Ucraina, ha aumentato di 20 miliardi di dollari le importazioni di idrocarburi dalla Turchia, che non è certo un grande produttore. Lo stesso sta naturalmente accadendo per le importazioni russe, con un poderoso aumento degli acquisti dagli stessi paesi che hanno aumentato le importazioni di idrocarburi e dalle altre nazioni attive nella frenetica attività di intermediazione. D’altra parte il raddoppio delle esportazioni europee verso l’Asia centrale e l’incremento senza precedenti dell’export verso la Turchia si spiegano solo con la triangolazione verso la Russia. E’ inoltre da notare il ruolo particolare che la Cina svolge nel fornire alla Russia i beni tecnologicamente più sofisticati e quindi maggiormente oggetto di sanzioni, in quanto più utilizzabili nel settore militare. Anche in questo caso vengono evidentemente emarginati i precedenti fornitori, soprattutto europei e giapponesi.
Tutti questi traffici sostitutivi, secondo le statistiche del Fondo Monetario Internazionale, hanno permesso una crescita dell’economia russa del 2,2% nello scorso anno e una prospettiva di crescita dell’1,1% nel 2024, nonostante i danni provocati dalla guerra e la fuga all’estero di 800.000 giovani renitenti alla leva militare. Questa crescita non ha garantito un maggior benessere al popolo russo, che sta invece soffrendo le conseguenze delle restrizioni, ma ha permesso un impressionante aumento delle spese militari che, triplicate dall’inizio del conflitto, superano oggi i centodieci miliardi di dollari. Di fronte a queste situazioni si sta pensando a sanzioni più sofisticate, come l’espropriazione dei capitali degli oligarchi russi all’estero e l’imposizione di una diminuzione del prezzo del petrolio venduto nei mercati internazionali, in modo da diminuire le risorse finanziarie che si dirigono verso la Russia. Tuttavia rimane sempre necessario superare l’ostacolo del numero e dell’importanza dei paesi che non accettano le sanzioni. Se poi teniamo conto dei popoli e non solo dei paesi, coloro che non le accettano sono addirittura in grande maggioranza. E’ quindi inevitabile interrogarsi in che misura e a quali condizioni le sanzioni possano produrre risultati rilevanti sul fronte militare, senza rischiare di provocare ai paesi che le impongono sacrifici paragonabili a quelli delle popolazioni che le subiscono. 
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