Riccardo Sessa

La "russificazione"/ La strategia per annullare l'identità degli ucraini

di Riccardo Sessa
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Martedì 15 Marzo 2022, 00:16

C’è una parte meno conosciuta, ma altrettanto tragica e dolorosa dell’invasione russa dell’Ucraina che investe le popolazioni dei territori conquistati dalle forze russe nella loro avanzata, e che avrebbe per il momento interessato soprattutto le città del sud: la russificazione di quelle popolazioni. Russificazione (Rusifikacija) che non significa nel caso dell’Ucraina (già “russificata” dalle autorità zariste fino al 1917, e Paese multietnico con un 20% di minoranza russa) adozione della lingua e della cultura russa, ma imposizione di un modello di vera e propria colonizzazione civile e sociale, con tutte le sue declinazioni. Con un’azione iniziata ben prima dell’invasione, quando Putin ci diceva che si preparava per un’esercitazione, e poi inserita nell’avanzata dei reparti in territorio ucraino, funzionari russi hanno distribuito e ora stanno distribuendo aiuti in denaro (non solo rubli in cambio della grivnia, ma anche dollari) e passaporti russi. Il piano sarebbe di favorire le aspirazioni – c’è sempre da chiedersi quanto genuine - di quanti intendano rifugiarsi in Russia.

Più recentemente stanno circolando notizie di altro genere, di cui peraltro non è ben chiara la finalità ultima. Sarebbe in atto un trasferimento più o meno forzato in Russia con la scusa di un’evacuazione da zone pericolose, o distrutte, al quale sarebbero già state interessate varie migliaia di cittadini ucraini e altre lo dovrebbero essere. Abbiamo detto che questo spostamento di popolazioni si starebbe verificando soprattutto al sud, quel sud dell’Ucraina dal quale, lo ricordiamo, è iniziata il 24 febbraio quell’invasione definita “operazione militare speciale” e attuata per venire in soccorso della minoranza russa del Donbass “minacciata” dall’Ucraina. Non ci riferiamo tanto alla Crimea, occupata dalla Russia a febbraio del 2014 e, dopo un referendum sull’autodeterminazione ritenuto illegale non solo dall’Ucraina, ma da tutte le organizzazioni internazionali, annessa il successivo 18 marzo alla Federazione Russa. L’area interessata a queste operazioni sì “speciali” sarebbe quella delle due Repubbliche Popolari del Donbass proclamatesi indipendenti, Doneck e Lugansk, che prima dell’invasione Putin aveva annesso alla Federazione Russa. E’ in quella regione che si starebbero verificando delle migrazioni più o meno forzate di cui ora cominciano a circolare informazioni più circostanziate.

Informazioni che, quando potranno essere suffragate da testimonianze più precise rispetto a quelle che stanno circolando e da altra idonea documentazione, andranno ad arricchire quel già voluminoso fascicolo a carico dello stesso Putin, prima ancora che dei suoi Comandanti e delle sue truppe, sul non rispetto di tutte le norme più elementari del diritto internazionale e delle convenzioni sulla guerra. Diventa sempre più chiaro il disegno di Putin, e quindi più complesso qualunque sforzo di mediazione. A fianco, anzi all’interno, della guerra – smettiamola di chiamarla conflitto - che sta conducendo in Ucraina, lo zar Putin ha avviato un’operazione di conquista del territorio, giocando sul carattere multiculturale del Paese, che non è solo militare, ma soprattutto, culturale, etnica, sociale, di russificazione, come abbiamo detto, che in realtà significa colonizzazione nel vero senso della parola.

L’obiettivo è stato chiaro sin dall’inizio: occupare militarmente tutto il territorio ucraino, mettere al governo uomini legati a Mosca e riportare l’Ucraina all’interno di una più “Grande Russia”. Le operazioni militari non stanno andando esattamente come le avevano programmate gli Stati Maggiori russi, che in primo luogo non si aspettavano una resistenza così determinata e organizzata da parte di una popolazione che sta sopportando di tutto e di più, pagando un prezzo elevatissimo, per non voler ritornare sotto la Russia. 

Ci sono poi tutta una serie di carenze delle forze russe note agli addetti ai lavori, ma meno alle opinioni pubbliche, a cominciare dalle difficoltà nella catena di comando e controllo e negli approvvigionamenti, passando per una non sufficiente professionalità delle truppe e difficoltà anche nella condotta delle operazioni aeree. Un quadro così complesso è reso ancora più oscuro da varie incertezze, tra cui l’andamento altalenante degli pseudo-negoziati russo-ucraini, un ancora debole fronte diplomatico per riuscire a fermare la guerra, lo stato di salute di Putin e le manifestazioni di protesta che crescono in Russia. Non ultime, le notizie che stanno circolando di varie fonti russe rimbalzate da mezzi di informazione britannici, di malumori che serpeggerebbero negli alti comandi russi. In una tela di fondo così variegata, e con l’attenzione internazionale concentrata essenzialmente sulle vittime civili e sui danni, sull’avanzata delle forze russe verso Kiev e su qualche dimostrazione di pseudomuscoli in direzione della frontiera con la Polonia, quindi con un Paese della Nato, Putin finisce per avere le mani libere nel sud e più in particolare nei confronti di quelle popolazioni.

Tutto questo serve a rafforzare il convincimento che occorre assolutamente trovare il modo per fermare la guerra. Crescono gli attori coinvolti in un negoziato che, più passano i giorni, più le forze di Putin conquistano terreno e provocano danni, più diventerà difficile trovare quel punto d’incontro che soddisfi entrambe le parti. Con danni enormi anche in termini di immagine per tutti, basti pensare a quanto sia ancora difficile far capire agli ucraini, e non solo a loro, perché i paesi della Nato non possano istituire una “no-fly-zone” sul cielo ucraino. Ormai siamo diventati tutti degli esperti della “teoria del topo” che avrebbe affascinato Putin, ma in un negoziato diplomatico, specie in una guerra, non avevamo bisogno che ce lo ricordasse Putin come reagisce un topo. Noi dobbiamo tener presente che in questa guerra i “topi” non sono neanche solo due, ma più d’uno. E non dimentichiamo che la quadratura del cerchio, o, meglio, dell’angolo dal quale sfuggire coinvolge prima di tutto la popolazione dell’Ucraina, a cominciare da quei migranti forzati del sud.

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