Mario Ajello
Mario Ajello

Perché la ripartenza di Roma può essere un volano per il Paese

Perché la ripartenza di Roma può essere un volano per il Paese
di Mario Ajello
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Mercoledì 20 Gennaio 2021, 23:51 - Ultimo aggiornamento: 21 Gennaio, 16:11

Dopo 150 anni, e in una fase come questa di urgente ricostruzione nazionale, Roma in quanto Capitale è una necessità storica più di sempre. L’espressione “Capitale malamata” non si può più sentire. Va rimossa con i fatti, con i progetti, con la visione di una metropoli che dovrebbe muoversi ed essere concepita con la potenza delll’Eroica di Beethoven che è un inno alla modernità. 

Una città ripiegata su se stessa, dopo il buio papalino, era quella in cui il nuovo Stato unitario si riconobbe grazie alla lungimiranza di Cavour e in cui straordinariamente investì. Dandole crescita e nuovo rango. E in un Paese da rifare, in un’Europa da ridefinire dopo la pandemia e alla luce degli equilibri globali che cambiano, puntare su Roma come neo-Capitale dell’immediato futuro collegata al più remoto passato - all’insegna di «solidità, utilità, bellezza», le tre virtù capitoline secondo Vitruvio - è la sfida creativa che non si può aggirare. 
L’occasione del Recovery Fund è quella giusta per Roma. Il dovere della politica e del governo, finora assenti dalla questione romana, è quello di uscire dall’indifferenza e di dimostrare, lavorando da subitissimo a meno che non sia già tardi, per dotare questa città di maggiori poteri di gestione e di coordinamento e di primazia nel sistema Italia troppo frammentato da un regionalismo in certi casi perfino pretestuoso e esageratamente condizionato, e in fondo impoverito, dalle pretese nordiste che non tengono conto di quanto dovrebbe apparire ovvio.

Ovvero questo: o crescono tutte insieme le varie parti del Paese, con Roma come motore e cerniera di collegamento, o vera crescita non sarà per nessuno. Ma soltanto un tirare a campare da piccola patria, e di piccolezza - anche quando è spacciata per presunta eccellenza o forza economica, come in certo Settentrione ci si attarda a fare - si muore. 

Ecco, i 150 anni dell’istituzione di Roma Capitale servono a ricordare dei concetti basilari e a ripartire da questi. Non chiedendo, banalmente, più soldi per Roma. Ma impegnandosi su qualsiasi piano - solo per fare un esempio: quanto è potente e quanto è ancora da potenziare il polo della tecnologia avanzata nella Tiburtina, o la grande industria farmaceutica e della ricerca che qui ha il suo habitat invidiato da tutti? - per il destino e contro il declino di questa metropoli simbolo dell’Occidente costruttivo. Non si è Roma per caso. E non ci si può dimenticare di esserlo. Il Centocinquantenario, ma anche le elezioni per il Campidoglio che proprio quest’anno di svolgono, da spartiacque possono valere: quello tra l’essere una somma di individui e l’essere res publica, ovvero lo spazio per eccellenza dove si decide come condurre e dove un’intera comunità nazionale e in che modo farla riconoscere nella sua città leader. 

Purtroppo lo sguardo lungo che portò la classe dirigente risorgimentale a considerare questa la «Capitale ineluttabile» si è opacizzato e sconcerta la scarsa considerazione che la questione romana goda nel dibattito nazionale, come se prescindere da Roma non fosse un suicidio, e perfino anche in quello interno a questa città. Che si avvia praticamente al buio - chi ha la proposta migliore? Chi le persone giuste a incarnarla? Non si vede nulla di tutto questo - al voto della primavera 2021. 

Eppure, andrebbe fatto adesso ciò che non si fece nel 1947 in Assemblea Costituente. Ossia stabilire un ordinamento autonomo e speciale per Roma. Alla vecchia classe dirigente post-bellica questo sembrò rievocare fin troppo l’attenzione che il regime fascista aveva dato alla Capitale, istituendo il Governatorato. Fu un errore ideologico farsi condizionare dalla memoria del Ventennio (che per la proiezione di Roma non fu affatto un cattivo periodo) e al di là dei modelli che si possono avere, e quelli del passato restano nel passato, di sicuro il potenziamento di tutto a cominciare dai poteri amministrativi è la condizione per rendere governabile e promettente questa realtà. La quale sconta un deficit inammissibile di passione civica. 

Roma oggi sembra un coacervo disordinato di frammenti, di situazioni tra loro scollegate. Mancano il sistema e la traiettoria da imboccare. Difetta la visione di insieme che è quella che fa la forza. In una città che, oltre al primato nell’high tech con imprese del calibro di Alenia, Alcatel, Telespazio, Vitrociset e alla capacità produttiva dell’industria alimentare o della plastica, ha imprese leader nella moda come Fendi e Bulgari. All’Eur c’è il cervello dell’Eni, multinazionale del petrolio, e Roma è capitale mondiale nell’istruzione superiore e nella ricerca scientifica. Le università La Sapienza, Roma 2 e Roma 3 formano il maggior polo universitario pubblico italiano, affiancato da università private, università cattoliche, università straniere. Merita di essere malamata una metropoli così, che unisce istituzioni a imprese, la storia e la proiezione sul futuro? 

Quel che merita Roma, e guai a sprecare questo Centocinquantenario che è insieme memento e doping, è di essere presa - al netto dei suoi problemi - come esempio di città che le ha superate tutte nella sua storia plurimillenaria e non può essere che questa Capitale, se ne ha la consapevolezza pratica, a condurre l’Italia fuori dalla grande crisi in corso.

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