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MARIO DRAGHI

La visita di Stato/ Il dialogo con la Libia che parla francese

La visita di Stato/ Il dialogo con la Libia che parla francese
Articolo riservato agli abbonati
7 Aprile 2021 (Lettura 4 minuti)

È la prima visita di Stato che Mario Draghi effettua da quando è stato nominato primo ministro: basterebbe già solo questo elemento a sottolineare l’importanza cruciale che il premier italiano ascrive al dossier libico. Nella breve conferenza stampa che ha fatto seguito all’incontro con il suo omologo nordafricano, Draghi ha voluto mettere in evidenza due aspetti. Innanzitutto l’unicità del momento. 

Sia Abdelhamid Dbeibah sia Mario Draghi non erano “della partita” che ha segnato il disastro dell’intervento occidentale nel 2011, l’esplodere della guerra civile tra fazioni e regioni del Paese, l’intervento militare straniero più o meno occulto e il devastante incancrenirsi del dramma dei migranti. 

Oltretutto, l’uno e l’altro sono arrivati al vertice dei rispettivi governi dopo che altri e apparentemente più poderosi protagonisti si erano consumati in continue inconcludenti guerre intestine (non a suon di cannonate nel caso italiano), come risorse di ultima istanza per due Paesi comunque allo stremo.
Draghi non ha avuto ovviamente nessuna responsabilità e voce in capitolo sul modo in cui la politica italiana ha cercato di gestire lo shock causato dalla caduta di Gheddafi: riuscendoci solo molto malamente, va detto, spesso inseguendo un obiettivo a scapito di tutti gli altri - la posizione di Eni, i migranti e le ong, la rivalità con la Francia, il nostro storico ruolo in Libia… - e così finendo con il portare a casa molto poco. 

Il premier italiano ha voluto rimarcare invece l’unicità della prospettiva che si apre oggi alla collaborazione tra una Libia tutta da ricostruire e un’Italia che vuole proporsi come partner affidabile, anche in virtù di una lunga consolidata relazione, che risalta proprio rispetto all’influenza modesta esercitata negli ultimi anni. Il premier libico, dal suo canto, ha dimostrato la più ampia disponibilità di Tripoli a sviluppare relazioni privilegiate e importanti con Roma, proprio nella prospettiva di ricostruzione postbellica del Paese. Se la tregua si consoliderà, ovviamente. 

Così, la sicurezza della Libia nel suo complesso e quella delle opportunità per le imprese italiane nella nostra ex colonia si fondono in un discorso complessivo. Nella consapevolezza che l’Italia non pretende di poter esercitare un ruolo solitario, ma non è disponibile ad accettare ostracismi e fatti compiuti (ricordate le polemiche con la Francia?) e neppure cerca investiture da parte di terzi (come ostentato ai tempi di Trump). 
Se qualcosa è apparso evidente in questi anni è che il caos libico è troppo complicato perché qualcuno possa sperare di sfruttarlo a danno di altri nell’illusione di fare avanzare il proprio interesse nazionale. Mentre l’azione internazionale può risultare decisiva proprio nel fornire tutto l’appoggio possibile a genuini tentativi di riconciliazione interna, che partano dalla Libia stessa, e di cui il governo attuale è una concreta manifestazione.
Sullo sfondo del viaggio di Mario Draghi si intravede nuovamente quell’opportunità di intesa e collaborazione italo-francese che – se concepita non a spese delle parti terze e non come un gioco a somma zero – può consentire alle due capitali di massimizzare il proprio peso non solo dentro l’Europa sulle questioni tipicamente “interne”, ma anche all’esterno dell’Unione.

Dove Draghi non ha potuto dire molto – allo stato delle cose – è sulla delicata e intricata vicenda dei migranti: che costituisce ad un tempo un problema di politica di sicurezza e una sfida umanitaria e di civiltà. Sono punti cruciali per lo sviluppo di una politica estera e di sicurezza comune della Ue e dei suoi Stati membri. Ma, su entrambi, i risultati sono stati finora modesti e le modalità, a dir poco, opache e inaccettabili per quello che l’Europa è e aspira a essere. Il paradosso è che proprio la loro scadente e inconcludente europeizzazione rende più complicato il rimetterli a tema. Complicato ma necessario, intendiamoci bene. 

Però Draghi non poteva dire molto di più di quel che ha detto, sia per equilibri interni alla sua maggioranza “composita”, sia per non affondare quel poco di europeizzazione della questione che è stata fin qui almeno nominalmente accettata. Con il procedere della bella stagione, però, il rischio molto concreto è che altri e più concreti e drammatici affondamenti possano aver luogo nel Golfo della Sirte. Non possiamo dimenticarlo e dobbiamo perlomeno lavorare: sia per ampliare quei “corridoi umanitari” ai quali il primo ministro italiano ha fatto esplicito riferimento, sia per gestire in maniera più equa, umana e rispettosa del diritto internazionale una tragedia che la pandemia non potrà che aggravare.

Ultimo aggiornamento: 08:25 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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