Ferdinando Adornato
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Grande centro, tutti ne parlano ma non c'è un progetto politico

di Ferdinando Adornato
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Mercoledì 6 Luglio 2022, 00:10

Si dice che la democrazia non sopporti i vuoti e che, fisiologicamente, finisca sempre per riempirli. Eppure ormai da tantissimi anni il Centro del nostro sistema politico-parlamentare è privo di una significativa rappresentanza senza che alcuno sia riuscito a “riempire” un luogo così decisivo per il governo di un Paese occidentale. E non a caso se ne torna a parlare oggi con una certa insistenza. 

Il problema è certamente nato dal fallimento del nostro bipolarismo. In un contesto efficiente di democrazia dell’alternanza, infatti, non ci sarebbe bisogno di un Centro autonomo come al tempo della Prima Repubblica. Entrambi i partiti, o gli schieramenti, si dovrebbero candidare per governare “dal centro” il Paese. Non a caso si parla di centro-destra e centro-sinistra. 

Ma da noi non è andata così. Negli anni Novanta, e nei primi dieci del nuovo secolo, abbiamo assistito a una sorta di guerra civile ideologica tra berlusconismo e antiberlusconismo con tanto di richiamo in servizio delle memorie antifasciste e anticomuniste. Niente male per un Paese che aspirava alla modernità. Tanto che il governo Monti è arrivato anche a interrompere questo disarmante e dannoso bipolarismo.
Negli anni più recenti, poi, il prepotente emergere di istanze populiste ha finito per inquinare gli stessi concetti di centrodestra e di centrosinistra. In primo luogo perché, dopo il 2018, si è dato vita all’innaturale alleanza tra Lega e 5Stelle. In secondo luogo perché, da allora in poi, questi due soggetti hanno finito per minare dall’interno i castelli di carta delle coalizioni.

Oggi la fragilità del centrodestra nasce dalla rivalità tra Salvini e Meloni ed è stata resa ancor più evidente dai recenti risultati dei Comuni, Verona in testa. Quella del centrosinistra si consuma nella distanza tra l’europeismo di Letta e il populismo di Conte, ed è stata amplificata dalla scissione di Luigi Di Maio. 
Ecco perché si torna a parlare di Centro. E chi lo invoca lo immagina anche come “il partito di Draghi senza Draghi”, un modo per creare le condizioni della permanenza del premier a Palazzo Chigi, vista l’inaffidabilità e la disomogeneità delle coalizioni. 

In effetti tutti i sondaggi concordano nel giudicare molto ampia l’area di elettori sensibili ad una simile offerta di governo e, di conseguenza, numerosissimi sono i protagonisti politici in campo. Da Calenda a Renzi, da Di Maio a Brunetta, da Carfagna al sindaco Sala con tanti altri primi cittadini.
Ma perché, allora, tale disegno politico non fa passi avanti e non sembra destinato a farne? In primo luogo, diciamo la verità, perché nessuno ci crede veramente.

Tutti, per muoversi, aspettano di valutare le mosse di Letta e di Salvini e Meloni. Il che vuol dire che concepiscono il Centro come un “cartello elettorale” da comporre, nel caso, all’ultimo momento, non come un vero progetto politico.

Come mi conviene schierarmi per portare a casa il maggior numero di parlamentari? Questa è finora la domanda prevalente, non certo un’allarmata riflessione sui destini del Paese. Non a caso il principale alibi esposto da quasi tutti è che, per fare davvero il “Centro”, ci vorrebbe una legge proporzionale.
L’argomento ha sicuramente una sua consistenza: ma solo se l’orizzonte disegnato è quello delle prossime elezioni. Infatti, se anche ci fosse la proporzionale, un Grande Centro non potrebbe nascere certo dall’oggi al domani. Occorrerebbe prepararsi a un lavoro di molti anni, (forse di un decennio) di convincente lavoro di squadra. 

Del resto, i 5Stelle non hanno certo aspettato la proporzionale per “sfondare” come primo partito del Paese. Il problema non è dunque la legge elettorale, ma la sintonia del proprio progetto con il Paese.
Di cosa parliamo, allora, quando parliamo di Centro? Di un soggetto europeista e atlantista, moderato nel campo della comunicazione e delle relazioni politiche, riformista nel campo della politica sociale e degli assetti istituzionali, seguace del rigore nell’uso della finanza pubblica e, infine, portatore di una nuova visione ecologica del capitalismo e della vita quotidiana.

Come si vede, non si tratta di un soggetto che si possa costruire in poco tempo. Ma, certo, si tratta di un progetto cui varrebbe la pena di dedicare diversi anni della propria vita politica, chiamando a raccolta le migliori competenze del Paese. C’è qualcuno disposto a questa scommessa? Non sembra. 

Pare piuttosto che ciascuno intenda il “Centro”, appunto, come una sorta di “rendita di posizione” da giocare nella trattativa con i due schieramenti. Di qui anche la reticenza ad allearsi con altri che insistano nella stessa area, coltivando con gelosia il proprio seppur piccolo movimento. Al contrario, ci vorrebbe una vera e propria “costituente di centro”, che apra le porte a chiunque creda nello stesso traguardo. Speriamo di essere smentiti. Ma, così continuando, il Centro resterà un’araba fenice. E agli italiani non resterà che augurarsi che, da qui alle elezioni, centrodestra e centrosinistra superino le loro evidenti contraddizioni.

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